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 2014  novembre 12 Mercoledì calendario

Ecco che cosa poteva fare in più l’Europa dopo il 1989. La questione della Nato

Ho letto la sua prefazione al libro edito dal Corriere 1989. Il crollo del muro di Berlino e la nascita della nuova Europa. Il titolo è: «Per l’Europa un’occasione mancata» ma, francamente, il concetto espresso non mi ha pienamente convinto e mi rimane piuttosto misterioso. Che cosa poteva fare di più l’Europa di fronte all’evolversi degli eventi? Impedire la dissoluzione della Jugoslavia e frenare le turbolenze nella comunità degli Stati Indipendenti? Sottrarsi alla paterna sorveglianza degli Stati Uniti? Liberarsi dalla dipendenza della Russia per le forniture di gas? 
Giampaolo Grulli

Caro Grulli, 
Dopo il collasso dell’Urss un vecchio politologo sovietico, uomo di mondo brillantemente sopravvissuto a tutte le stagioni politiche della sua patria, chiedeva ironicamente ai suoi amici occidentali: «Avete perduto il nemico. Che cosa farete d’ora in poi?». La domanda di Georgij Arbatov era calzante. La Nato, a cui avevamo affidato la nostra sicurezza, era stata concepita in funzione dell’esistenza di un minaccioso nemico al di là del sipario di freddo. Per supplire alla nostra mancanza d’unità avevamo delegato a un generale americano il comando delle nostre forze armate. Per supplire alla modestia dei nostri bilanci militari avevamo rinunciato alla nostra sovranità su alcune parti del territorio nazionale e permesso agli americani d’instaurarvi le loro capitolazioni, come si chiamavano le enclave europee nell’Impero Ottomano e nell’Impero Cinese. Per non perdere la protezione degli Stati Uniti avevamo permesso che il perimetro delle responsabilità della Nato si allargasse a zone extra-europee dove gli interessi erano prevalentemente americani. 
Vi fu un momento, tra la caduta del Muro e i primi anni Novanta, durante il quale l’Europa avrebbe potuto mettere sul tavolo il problema della Nato e della sua utilità. Se lo avesse fatto, avrebbe trovato a Washington orecchie pronte ad ascoltare. Non bisognava tagliare tutti i fili che ci legano all’America dalla fine della Seconda guerra mondiale. Sarebbe stato possibile conservare il Patto Atlantico, o una più aggiornata alleanza politica, ma smontare il complicato castello di istituzioni e infrastrutture militari creato dagli Stati Uniti nel nostro continente. Ancora una volta aggiungo che tali proposte, all’inizio degli anni Novanta, sarebbero piaciute a una larga parte della società americana. 
Abbiamo preferito lo status quo e abbiamo assistito impotenti alla nascita di una nuova politica estera degli Stati Uniti, sempre più priva della cautele che l’avevano distinta durante la Guerra fredda. Da allora noi abbiamo fatto, direttamente o indirettamente, tutte le guerre dell’America, da quella contro la Serbia nel 1995 a quelle contro l’Afghanistan e l’Iraq nel 2001 e nel 2003. Se non con le nostre truppe, le abbiamo fatte con le basi installate sul nostro territorio. E dell’America, con l’eccezione di qualche manifestazione d’indipendenza a Parigi e a Berlino, siamo stati quindi alleati e complici. Con quale autorità possiamo presentarci al mondo come gli ingegneri e gli architetti di una nuova Europa? 
È questa la ragione, caro Grulli, perché mi sembra giusto che il titolo della prefazione sia «una occasione mancata».