Corriere della Sera, 12 novembre 2014
Il petrolio ai minimi? È buono per le economie ma pessimo per gli investimenti
Da quattro anni il barile di petrolio non scendeva a quasi 82 dollari, nuovo minimo toccato ieri dal brent. Ma secondo Fatih Birol, capoeconomista dell’Iea (il braccio parigino dell’Ocse nell’energia) non è detto che si tratti di una buona notizia. «È buona per le economie – spiega al Corriere – anche se c’è un importante “ma”, di cui bisogna tenere conto, e che riguarda l’impatto negativo di prezzi in calo sugli investimenti. Ora siamo già vicini a zero, il che significa che nel giro di un paio d’anni, o anche prima, assisteremo a una nuova pressione al rialzo sui prezzi».
Proprio oggi, a Londra, l’Iea presenta il suo «outlook» 2014, lo stato dell’arte del settore energia, con proiezioni per la prima volta spinte fino al 2040. Ebbene, il quadro che emerge, aggiunge Birol, non è confortante. È quello di un sistema messo sotto stress dalle tensioni geopolitiche: «Il messaggio principale in termini di sicurezza energetica è che stiamo assistendo a rischi crescenti in diverse aree strategicamente importanti», aggiunge Birol. Iraq, Medio Oriente, Nord Africa, Russia, Ucraina: il che significa che «i governi si devono preparare a giorni difficili». Da oggi al 2020, per restare nel solo comparto petrolifero, la domanda è destinata a crescere, e se si sconta che allora la «nuova» produzione americana potrebbe aver terminato la sua corsa, «metà del nuovo petrolio che servirà verrà dal Medio Oriente».
L’Europa e l’Italia in questo contesto di rischi crescenti dovranno fare le scelte giuste. Le importazioni di gas, ad esempio, sono destinate a crescere anche con consumi che non aumenteranno, perché la produzione europea è in declino (in generale «la domanda di gas in Europa tornerà sui livelli pre anni 2000 solo dal 2030»). Uno sviluppo che lascia a un Paese dipendente come l’Italia solo due strade, dice Birol: fare maggiore uso di Lng, ovvero di gas naturale liquefatto trasportato via nave, oppure costruire nuove infrastrutture, come il Tanap transanatolico e il Tap verso la Puglia. Persino il South Stream dal Mar Nero, se servisse effettivamente alla diversificazione.
E per quanto riguarda le trattative sulle emissioni mondiali di CO2, di cui si discuterà a Parigi 2015? C’è qualche motivo per essere ottimisti? «La cattiva notizia è che le emissioni sono ai livelli massimi, 32 miliardi di tonnellate annue. Ma ce ne sono altre tre che lasciano sperare: il climate action plan di Obama; i target europei di riduzione del 40% entro il 2030 e gli sforzi cinesi per contenere l’inquinamento locale. A Parigi i governi mondiali si giocheranno l’ultima chance».