La Stampa, 12 novembre 2014
L’India e la sterilizzazione di massa per le classi più povere. Tra il 2013 e il 2014 in quattro milioni si sono sottoposte all’intervento. Ma domenica scorsa la tubectomia è costata la vita a 11 donne...
Sarà una drastica forma di contraccezione, ma la sterilizzazione di massa è da decenni il metodo più popolare di controllo delle nascite in India. La morte di 11 donne per setticemia, durante una campagna governativa anti fertilità in Chhattisgarh, piccolo e povero stato dell’India centrale dominato dai maoisti, ha sollevato di nuovo l’attenzione sui pro e contro di questa pratica e sulle condizioni igieniche in cui avvengono gli interventi chirurgici.
Negli Anni Settanta la lady di ferro Indira Gandhi aveva obbligato la sterilizzazione a tappeto delle classi più povere con l’imposizione delle leggi di emergenza. Una vera e propria crudeltà, oltre che un capitolo buio della storia indiana di cui si preferisce non parlare. Secondo stime del 2013 e 2014, le sterilizzazioni sono state quattro milioni, in maggior parte sulle donne che come sempre sono le più deboli nelle decisioni di pianificazione familiare. Sembra un numero gigantesco, ma se lo paragoniamo al miliardo e 200 milioni di abitanti del subcontinente sono bruscolini.
Sabato scorso, oltre 80 donne si sono presentate al «campo sanitario» di uno sperduto distretto a oltre 100 chilometri da Ranpur, la principale città del Chhattisgarh, per essere sterilizzate. I medici avevano allestito una sala operatoria in una clinica semi-abbandonata e in appena cinque ore hanno completato tutti gli interventi effettuati con laparoscopia. Una prassi, visto l’enorme numero di pazienti, ma che questa volta ha causato una strage. Sembra che le infezioni siano state causate da strumenti non sterilizzati a dovere. È stata aperta un’inchiesta e nel frattempo sono stati sospesi quattro medici. Intanto circa 50 donne sono all’ospedale, alcune in gravi condizioni.
Per molti è l’ennesimo scandalo di malasanità come i bambini morti per vaccini insicuri. Per altri è la conseguenza nefasta delle campagne di sterilizzazione basate su incentivi economici e sui «target» annuali. Le donne che si sottopongono agli interventi ricevono 1.400 rupie, circa 18 euro: per molte di loro è quanto basta a sfamare la famiglia per un mese.
Il premier Narendra Modi con il solito piglio decisionista ha chiesto al governo locale, guidato dal suo partito, di fare immediatamente luce sull’accaduto. Caso vuole che l’incidente è successo proprio nel collegio elettorale del ministro locale della Sanità. E si è scatenata la baruffa politica. Perfino il vicepresidente del partito del Congresso, Rahul Gandhi, sconfitto pesantemente nelle elezioni di maggio, si è unito al coro delle critiche e polemiche.
Purtroppo le morti per sterilizzazioni non sono una novità. Secondo dati ufficiali sono state oltre 1.400 nell’ultimo decennio. Questo incidente potrebbe indurre il governo indiano a rivedere le politiche di pianificazione familiare. L’India ha sempre rifiutato di seguire la politica del figlio unico e tra 15 anni supererà la Cina diventando il Paese più popoloso del pianeta con un miliardo e mezzo di persone.
Nonostante il boom demografico e gli enormi problemi del sovraffollamento dei centri urbani, il controllo delle nascite non compare ormai da anni in nessuna agenda politica. Quel 50% della popolazione under 35 è considerato un dividendo demografico per la nuova potenza emergente. Anche se il tasso di natalità è sceso a 2,4 figli per donna ed è destinato a calare di pari passo con l’emancipazione femminile e il miglioramento delle loro condizioni economiche. «La politica del figlio unico è una pessima idea ha detto l’economista Bibek Debroy -. Alla fin fine, il miglior contraccettivo è lo sviluppo».