la Repubblica, 12 novembre 2014
Dal 2020 lo skate potrebbe debuttare alle Olimpiadi. La tribù della tavoletta a rotelle, in Italia, conta diecimila persone ma non esistono né squadre né tesserati. Poco importa perché «una volta eravamo visti come vandali e drogati, ora finalmente s’è capito che il nostro è un ambiente pulito, sano, aperto a tutti, super tranquillo»
Dopo la biciclettina di E. T. potrebbe arrampicarsi al cielo delle Olimpiadi anche lo skateboard di Ritorno al futuro. La tavoletta a rotelle su cui volava Michael J. Fox s’è già fatta un giro, dimostrativo, ai Giochi Under 18 della scorsa estate a Nanchino, e nel 2020 potrebbe finalmente saltare nei cinque cerchi. Universale, televisivo, spettacolare, giovane: le caratteristiche essenziali per entrare nella grande famiglia olimpica, e nel grande business (come già ben sanno molti marchi di abbigliamento e scarpe per ragazzi), le ha tutte, sulla scia di altri sport come, appunto, la Bmx, cioè le acrobatiche minibici che in Italia conoscemmo grazie a Steven Spielberg, il beach volley, lo snowboard o il trampolino elastico, parente stretto dei tappettini dove si zompa ai giardinetti.In Italia sono circa diecimila i praticanti, ma infinitamente di più quelli che hanno uno skate. Inclusi quei “virtuosi” che un mese fa, scivolando con la pancia sulla tavoletta, hanno fatto un colpo in una banca bolognese passando da un tunnel sotterraneo. La federazione esiste dal 2010 (come settore tecnico della federazione hockey e pattinaggio) e ha formato una ventina di istruttori patentati, ma non ha né squadre né tesserati perché l’agonismo non è disciplinato: chiunque può presentarsi a una gara e partecipare. Non esiste una Nazionale, i migliori vengono spesati per un paio di trasferte estere all’anno. Più olimpico di così è difficile. Gli skatepark sono oltre cento, quasi tutti pubblici e a nord di Roma, ma al vero skater, si sa, basta un marciapiede, una panchina, un muretto, una ringhiera o una scalinata. La specialità più diffusa si chiama infatti street style. Poi ci sono, per gli amanti di pareti, rampe e paraboliche, l’ half pipe ( ci si esibisce su una sezione di tubo) e il bowe ( più simile a una piscina, naturalmente vuota).La tribù dello skate ha la sua musica, il suo stile di vita, la sua moda, tatuaggi, grafica, bibite e il suo slang piuttosto ostico ai profani, fatto di verbi come flippare, grabbare o carvare. Le gare, anzi i contest, sono più simili a raduni che a competizioni sportive: concerti, birra, hamburger, t-shirt, gadgets. L’identità resiste, anche se i confini si sono allargati: ora puoi vedere ancora skaters col look metallaro o rap, ma anche in tuta da impiegato della domenica o da hipster. Ci sono riviste e siti internet specializzati (come www. 4skateboard. it), Eurosport trasmette le gare internazionali e YouTube è pieno di video cliccati milioni di volte sulle evoluzioni più sensazionali.Gli americani, avendo inventato questo attrezzo oltre mezzo secolo fa sulle strade della California, sono avanti anni luce. Per dire, una star milionaria come Tony Hawk, 46 anni, è finito dentro svariati film e videogames, in una puntata di Csi, in una clip di Pharrell Williams, perfino nei Simpson e in un libro di Nick Hornby ( Tutto per una ragazza).Nel corso dei decenni lo skate ha resistito ai momenti di crisi, all’assalto dei rollerblade e della legge: in molte città furono vietati per questioni di sicurezza, e così anche nel ‘78 in tutta Italia dove la pratica era divenuta popolare nel ‘77 dopo un reportage della trasmissione Odeon ( che ci fece scoprire anche il frisbee).Un professionista della top ten mondiale può tirar su anche un milione all’anno grazie a sponsor e premi (ci sono gare da centomila dollari). In Italia i professionisti sono una decina, e devono accontentarsi di cifre molto inferiori. Qui il montepremi più alto è tremila euro. Il brianzolo Luca Basilico, responsabile della federazione, 38 anni, ne ha fatto un mestiere organizzando gare, dirigendo testate di stampa specializzata, vendendo materiale e abbigliamento. «Per molti di noi – dice – lo skate è soprattutto una forma d’arte, non solo uno sport». Sei volte campione italiano, campa di skate da quando ha lasciato la scuola il veneto Fabio Montagner, 27 anni: «E se tutto va bene conto di farne un lavoro che vada oltre i quarant’anni, limite massimo per l’attività competitiva. Grazie allo skateboard ho scoperto la fotografia, per esempio. L’aspetto creativo è importante. Una volta eravamo visti come vandali e drogati, ora finalmente s’è capito che il nostro è un ambiente pulito, sano, aperto a tutti, super tranquillo».