Il Sole 24 Ore, 11 novembre 2014
Risanare investendo. Aumentare il bilancio della Bce di 1.000 miliardi di titoli per immettere liquidità significherebbe acquistare anche obbligazioni non finanziarie di ogni tipo e di dubbia affidabilità. L’Esim dovrebbe suddividerli in due parti. La prima per acquistare all’emissione titoli di stato a lunga scadenza dei Paesi della Eurozona
L’Eurozona è ancora in una situazione molto difficile malgrado la convinzione che l’euro sia fuori pericolo. Le valutazioni recenti della Commissione europea e del Consiglio della Bce dimostrano che la crisi non è superata. Tuttavia continua la sottovalutazione dei rischi politico-sociali per l’Eurozona (con accentuazioni nazional-separatiste) e il posponimento di politiche economiche per rilanciarla.
Semi-stazionarietà. Le valutazioni autunnali della Commissione europea tagliano infatti (quasi) tutte le precedenti previsioni. Il Pil cresce nel 2014 dello 0,8%, dell’1,1% nel 2015, dell’1,7% nel 2016. Una ripresa molto lenta pari all’1,2% medio annuo che si coniuga con la crescita media annua dell’1,1% nei 17 anni 2000-2016. La disoccupazione totale è prevista scendere sotto l’11% solo nel 2016 (dopo un incremento di quasi 3 punti dal 2009 al 2013) e quella giovanile, malgrado l’assenza di previsioni ufficiali, dovrebbe rimanere intorno al 25% (dopo un incremento di quasi 4 punti nei cinque anni fino al 2013). Ufficialmente si parla di “lenta ripresa” ma in realtà si tratta di una semi-stagnazione. La dinamica dei prezzi, che sul 2014-16 è prevista dello 0,9% medio annuo, indica anche una semi-deflazione.
Una semi-stagnazione più una semi-deflazione danno una semi-stazionarietà che i responsabili delle politiche economiche dell’Eurozona non possono o non vogliono o non sanno cambiare. Per una volta, trascurando le accuse tra Stati, vediamo se si può cercare (forse illusoriamente) una convergenza accettabile anche alla Germania.
Politiche incomplete. È infatti difficile convincersi che la Germania, fresca anche delle celebrazioni dei 25 anni della sua riunificazione che non sono solo suo merito, non veda i rischi di un’Eurozona governata esclusivamente da semi-politiche: quella delle riforme strutturali richieste ai singoli Stati membri che però non viene coniugata con gli accordi contrattuali per lasciare margini di bilancio a chi le attua.
Quella dei vincoli di bilancio che nella loro evidente irrazionalità (o impossibilità per il debito sul Pil al 60%) danno luogo a trattative estenuanti tra Governi, Commissione Europea e Consiglio Europeo; quella di investimenti infrastrutturali programmati ma non finanziati.
L’unico vero potere di politica economica è la Bce che tuttavia riesce ad intervenire soprattutto per evitare il peggio. Mario Draghi, dopo il recente Consiglio, ha spiegato che se la bassa crescita del Pil e dei prezzi continua, la Bce è pronta ad ulteriori interventi, oltre a quelli già in atto (Tltro, acquisti di Abs e Covered Bond). Ciò si coniuga con la dichiarazione che il bilancio della Bce potrebbe passare dagli attuali 2 mila miliardi di euro fino ad un massimo di 3 mila miliardi.
Risanare investendo. Aumentare il bilancio della Bce di 1.000 miliardi di titoli per immettere liquidità significherebbe acquistare anche obbligazioni non finanziarie di ogni tipo e di dubbia affidabilità. È una soluzione ardua (vista l’opposizione della Germania) e anche discutibile perché la Bce non può diventare il dominus di tutta la politica economica della Uem senza avere un potere reale per finalizzare la liquidità al rilancio degli investimenti a cominciare da quelli in infrastrutture ritenuti adesso i più efficaci. Per questo una azione politica coordinata (basata sul convincimento e non sulla polemica) di Francia ed Italia nei confronti della Germania dovrebbe puntate ad una modifica del trattato internazionale dello Esm (European Stability Mechanism). Non è infatti pensabile che questo potente strumento di politica economica (le cui obbligazioni hanno avuto un’ottima accoglienza sui mercati)sia stato costruito per rendere disponibili 50 miliardi di euro ai Paesi in difficoltà!
Bisognerebbe quindi trasformarlo in un Esim (European Stability and Investiment Mechanism) portando, tramite emissioni obbligazionarie, la sua capacità di intervento agli attuali 500 miliardi (di cui solo circa 50 già impegnati) a 1500 miliardi. L’Esim dovrebbe quindi emettere i 1.000 miliardi di “Eurosurplusbond” (da appogiare col tempo anche su garanzie reali come da noi proposto per gli “EurounionBond") a lunga scadenza ed a tassi indicizzati all’inflazione, ma mai superiori all’obiettivo inflazionistico del 2%, che dovrebbero essere acquistati dalla Bce. L’Esim dovrebbe suddividere quindi i 1.000 miliardi in due parti. La prima per acquistare all’emissione titoli di stato a lunga scadenza dei Paesi della Eurozona in proporzioni che tengano conto delle quote di partecipazione all’Esim e di quelle dei loro avanzi primari calcolati su ampi periodo di tempo. Ne deriverebbe un incentivo ad aumentare gli avanzi primari con effetti benefici sul debito senza penalizzare un paese per quello pregresso e per gli interessi abnormi sullo stesso. Questa ipotesi di Eurosuplusbond significa anche un’ulteriore finalizzazione dei surplus primari che Marco Fortis ha da tempo proposto (e non solo perché l’Italia dal 1999 al 2013 ne ha generati per quasi 400 miliardi e la Germania per 330 mentre la Francia è andata in negativo per 304 miliardi). Tutto ciò contribuirebbe a ridurre o stabilizzare i debiti sul Pil. Un’altra parte degli Eurosurplusbond andrebbe a finanziare programmi di investimenti(magari quelli prefigurati da Juncker) che potenzierebbero anche il partenariato pubblico-privato.
Una conclusione. Gli investimenti pubblici in infrastrutture, per completare e rinnovare quelle della Uem, sono una scelta urgente e possibile par riavviare la capacità produttiva inutilizzata e l’occupazione. Il tutto favorito da tassi di interesse ai minimi storici e dall’impegno della Bce a mantenerli tali per un lungo periodo di tempo per riagganciare il 2% di inflazione. Prometeia nel suo rapporto di ottobre(in linea con quello del Fmi) ha stimato che investimenti pubblici razionalmente distribuiti tra i Paesi Membri della Uem avrebbero un effetto espansivo sul Pil di circa l’1,4%. Non poco anche per ridare fiducia alle imprese e quindi per generare ulteriori effetti moltiplicativi non calcolabili a priori.