la Repubblica, 11 novembre 2014
Truman Capote raccontato da chi lo ha conosciuto. Esce in Italia la biografia realizzata da George Plimpton che dipinge lo scrittore di Colazione da Tiffany come geniale, sgradevole, turbolento, talentuoso, fortunato
George Plimpton era una divino mondano. Conosceva tutti. Riusciva a far parlare tutti, divini mondani come lui e critici del sistema. E nel corso della sua mondanissima vita, che incluse anche una vera amicizia con Robert Kennedy nata sui banchi di Harvard, una sua collaborazione acclarata e dimostrata con la Cia (che finanziava la sua Paris Review), libri di critica letteraria, esperimenti di “participatory journalism” (in altre parole la partecipazione a gare sportive per poi raccontarle dal di dentro), esibizioni con la New York Philarmonic Orchestra, una smodata e un po’ folle passione per i fuochi d’artificio, è riuscito a lasciare dietro di sé due libri “corali“, costruiti cioè secondo lo stesso schema collettivo: interviste ai testimoni del tempo, montate in modo da formare un puzzle, un affresco, un gossip d’autore sul tema in oggetto. Nel 1982 Edie: An America Biography, scritto con Jean Stein, su Edith Sedgwick, la bella modella portata alla fama e all’autodistruzione da Andy Warhol. E nel 1997 Truman Capote: Dove diversi amici, nemici, conoscenti e detrattori ricordano la sua vita turbolenta, che pubblica ora Garzanti nella traduzione di Alba Bariffi (pagg. 462, euro 29).
Una lettura divertente e pettegola, colta e imbarazzante, piena di strizzate d’occhio e di malignità, di aneddoti di prima mano e di leggende consolidate su un personaggio unico, geniale, sgradevole, talentuoso, fortunato, come fu Truman Capote.
Si comincia con i ricordi un anonimo «residente di Monroeville, Alabama», dove Capote passò buona parte della sua infelice infanzia; si chiude con James Dickey, poeta e scrittore (quello di Un magnifico weekend di paura), passando per il gotha (o il who’s who) della mondanità e della cultura internazionale di quegli anni. E ci sono tutti quelli che contano (o contavano), nel libro. Da Marella Agnelli, una dei “cigni”, come Capote chiamava le signore bellissime e chic, a Lauren Bacall, da Paul Bowles a Joan Didion, da Katharine Graham a Alfred Kazin, da Norman Mailer a Gore Vidal, da Kurt Vonnegut a Diana Vreeland. Tutti pronti a comporre con il loro ricordo, il loro aneddoto, il loro gossip, un pezzo di storia del costume e della letteratura.
Si comincia con la storia patetica, e così tipica da essere forse vera, di Truman, bambino povero e bello, abbandonato dai genitori, cresciuto dalle zie, dotato e ignorante. Del faticoso inizio al New Yorker. Delle villanate con cui l’ambizioso giovanotto si faceva notare. E poi Harper’s Bazaar, il successo di Altre voci, altre stanze, con la sua cultura peccaminosa e perturbante da vecchio Sud misterioso e perverso, Colazione da Tiffany, metro aureo della leggerezza e del camp, A sangue freddo, con la sua ambiguità morale e l’“invenzione” del new journalism. E mentre invecchiava, quel mostriciattolo che era in realtà Truman Capote, proseguivano e diventavano sempre più esibite le mondanità, il leggendario ballo in bianco e nero offerto a Katherine Graham, i viaggi in barca con gli Agnelli, le grandi case degli Hamptons, fonti di storie e di gossip, il velenoso abbraccio di Hollywood. Anche delle bellissime e dei loro potenti consorti si stufava, il capriccioso nume della letteratura Usa. Gli Agnelli erano noiosi, diceva, sbarcando dopo aver goduto per venti giorni della loro generosa ospitalità. E si stufava anche della realtà. Se non era come piaceva a lui la reinventava in una sontuosa menzogna, sostenendo di dire la verità. La sua amica Harper Lee? Era stato lui a scrivere metà di Il buio oltre la siepe. E questo spiegava, secondo Truman, perché non avesse poi scritto più niente. Amori? Lui, Truman, aveva avuto una storia con la Garbo, che se la rideva.
Finché inventava delle evidenti balle lo perdonavano. Ma quando pubblicò le (possibili, probabili) verità di Answered Prayers, fu espulso dal cerchio dorato del bel mondo: aveva osato troppo, il non più attraente, non più giovane Capote. Che questo libro geniale e snob ricompone in tutta la sua patetica, frammentata essenza, trasformando i lettori in altrettanti imbucati in una festa piena di grandi nomi e di molta miseria umana.