La Stampa, 11 novembre 2014
Il caso LuxLeaks e Juncker che rischia il posto. Da sinistra a destra, tutti chiedono le sue dimissioni. Anche la Merkel vorrebbe evitare una crisi istituzionale. Intanto lui se ne va in Australia per il G20
«Daremo all’Europarlamento ciò che vuole». Il portavoce della Commissione Ue assicura che Jean-Claude Juncker intende far sì che sugli accordi fiscali «segreti ed elusivi» fra le imprese europee e l’erario del Lussemburgo «sia fatta piena e rapida luce». A Palazzo Berlaymont, dove il nuovo esecutivo si è insediato con novembre, stanno cercando affannosamente una via d’uscita da una situazione imbarazzate e pericolosa. Li aiuta la mancanza d’intesa fra i gruppi politici a dodici stelle e la strenua difesa dei popolari. L’ex premier del Granducato, che giovedì vola a Brisbane per il G20, potrebbe scampare una visita in emiciclo, compito che slitterebbe alla titolare di cattedra, Margrethe Vestager, sceriffo della Concorrenza che metterebbe una pezza a colori sul caso in attesa di vedere l’evoluzione dei fatti.
La danese è attesa già oggi in commissione nella sede dell’assemblea a Bruxelles, il che potrebbe evitarle una replica domani, primo giorno di miniplenaria parlamentare. La pubblicazione delle indiscrezioni del dossier «LuxLeaks» ha scatenato una bufera politica. Chiedono le dimissioni di Juncker a destra e sinistra, i Lepeniani con la Sinistra unitaria. Gianni Pittella, presidente del gruppo Socialista e Democratico, è di avviso differente: «La Commissione Ue deve dirci intende fare per affrontare una questione che per noi è di primaria importanza – spiega -. Non vogliamo fare un processo a Juncker, ma agli stati che difendono norme attraverso le quali è possibile pagare poche tasse». «Sosteniamo completamente l’inchiesta della Commissione -, ha detto il capo dei popolari, Manfred Weber – La responsabilità nelle mani dei governi».
In assenza di una richiesta specifica, Juncker potrà andarsene in Australia tranquillo. Relativamente. Il portavoce Ue per la Concorrenza ha affermato che fino al 2013, cioè sino a quando Juncker era premier in Lussemburgo, il dialogo fra Bruxelles e il granducato è stata difficile. «In questi ultimi mesi la Commissione ha potuto contare su una miglior cooperazione con il Lussemburgo – ha assicurato -, così ora ci aspettiamo di ricevere ulteriori informazioni necessarie per continuare l’indagine nella sua pienezza». Un impegno per il futuro aiuterebbe, ma cosa dire del comportamento del passato? Le misure fiscali erano in buona parte legali. Juncker è contestato per aver apertamente l’elusione mentre adesso è fra coloro che chiedono agli stati di tenere salda la stretta sui debiti. Un bersaglio mobile, in effetti.
Fonti concordanti riferiscono di irritazione tedesca. La cancelliera Merkel ha accettato con riluttanza la nomina di Juncker alla guida della Commissione, però adesso preferirebbe evitare una crisi istituzionale, insidiosa nell’attuale clima di euroscetticismo galoppante. Si parla di contatti telefonici fra il lussemburghese e Berlino, ma le conferme sono indirette. Quel che è certo è Juncker non potrà tacere a lungo. Prima o poi dovrà dir la sua. Il campo neutro di Brisbane potrebbe dargli l’occasione giusta. Per allontanare la palla dalla porta. Certo non per vincere la partita.