la Repubblica, 11 novembre 2014
Il mondo corre veloce. Le tre forze più potenti in atto nel pianeta — il mercato, Madre Natura, e la Legge di Moore — stanno aumentando tutte, davvero in fretta, e tutte contemporaneamente. I nostri lavoratori, investitori e mercati sono molto più vulnerabili nei confronti dei trend globali, senza muri che li proteggano
Abbiamo appena avuto un’insensata elezione di metà mandato. Mai prima d’ora si erano spesi più soldi per riflettere così poco su un futuro in continuo mutamento. Di che cosa avremmo parlato, se avessimo avuto un’elezione seria? Che ne dite della sfida più importante di tutte quelle con le quali siamo alle prese oggi, la capacità di ripresa dei nostri lavoratori, dell’ambiente e delle istituzioni?
Vi state chiedendo perché è questa la sfida più cruciale? Perché sì: il mondo corre veloce. Le tre forze più potenti in atto nel pianeta – il mercato, Madre Natura, e la Legge di Moore – stanno aumentando tutte, davvero in fretta, e tutte contemporaneamente. Il mercato, cioè la globalizzazione, sta legando tra loro le economie più strettamente di quanto sia mai avvenuto in passato, rendendo i nostri lavoratori, investitori e mercati molto più interdipendenti gli uni dagli altri, molto più vulnerabili nei confronti dei trend globali, senza muri che li proteggano.
Come postulano Andrew McAfee e Erik Brynjolfsson nel loro libro The Second Machine Age, la Legge di Moore – la teoria secondo la quale velocità e potenza dei microchip raddoppiano ogni due anni – sta accrescendo la potenza di software, computer e robot con tale inesorabilità che ormai essi sostituiscono un numero crescente di posti di lavoro tradizionali da colletti bianchi e blu, producendone di continuo di nuovi, che richiedono tutti competenze sempre superiori.
La rapida crescita dell’anidride carbonica nella nostra atmosfera, il degrado ambientale e la deforestazione provocati dall’aumento della popolazione sulla Terra – l’unica casa che abbiamo – stanno destabilizzando ancora più rapidamente gli ecosistemi di Madre Natura.
Insomma, ci troviamo allo stesso tempo nel bel mezzo di tre “cambiamenti climatici”: uno digitale, uno ambientale e uno geo-economico. È per questo motivo che gli Stati forti sono indeboliti, quelli deboli stanno esplodendo e gli americani si sentono angosciati dal fatto che nessuno abbia un rimedio tempestivo per alleggerire la loro ansia. E hanno ragione. L’unico rimedio valido implica grandi e difficili imprese, che possono essere realizzate soltanto insieme e nel tempo: infrastrutture resilienti, assistenza sanitaria accessibile, più start-up e opportunità di formazione continua per nuovi posti di lavoro, politiche immigratorie che attirino talenti, ambienti sostenibili, un debito gestibile e istituzioni pubbliche adattate per reggere il ritmo.
State dicendo che si tratta soltanto di teoria? Ne siete sicuri? Pensate a un unico aspetto di un unico Paese: Madre Natura in Brasile. Il 24 ottobre la Reuters ha riferito questo da San Paolo: «Se non pioverà a breve, la più grande e ricca città dell’America del Sud potrebbe ritrovarsi senz’acqua. San Paolo, una megalopoli brasiliana con oltre 20 milioni di abitanti, sta patendo la peggiore siccità degli ultimi 80 anni, e dopo un anno insolitamente secco le riserve idriche più importanti che la riforniscono sono prosciugate».
Come? San Paolo è a corto d’acqua? Proprio così. José Maria Cardoso da Silva, consulente senior brasiliano presso Conservation International, spiega che la siccità ha profondamente colpito il territorio, spogliato nella misura dell’80 per cento delle sue foreste naturali lungo gli spartiacque della Serra da Cantareira che alimentano sei bacini idrici artificiali che soddisfano il fabbisogno di acqua di San Paolo. La Cantareira fornisce circa la metà di quell’acqua. Le foreste e le paludi sono state spazzate via e sostituite da campi coltivati, pascoli e piantagioni di eucalipti. Quindi oggi i condotti e i bacini che raccolgono l’acqua ci sono ancora, ma le infrastrutture naturali delle foreste e degli spartiacque si sono degradati moltissimo. E la siccità lo dimostra chiaramente.
«Le foreste naturali fungono da spugne gigantesche in grado di assorbire la pioggia e di liberarla in ruscelletti» ha detto. «Oltre a ciò, proteggono i corsi d’acqua e ne mantengono la qualità riducendo i sedimenti e filtrando gli agenti inquinanti. La perdita delle foreste della Cantareira ha aumentato enormemente il fenomeno dell’erosione, ha provocato un calo della qualità dell’acqua, e ne ha cambiato i flussi stagionali, riducendo la resilienza dell’intero sistema nei confronti di eventi climatici estremi». Il sistema Cantareira è precipitato sotto il 12 per cento della sua capienza.
Purtroppo, la deforestazione è aumentata durante il mandato della presidentessa Dilma Rousseff appena rieletta, ma in campagna elettorale non si è quasi sfiorato questo argomento. Eppure la Reuters ha citato le parole di Antonio Nobre, illustre climatologo dell’Istituto nazionale della ricerca spaziale del Brasile, che ha affermato che «il riscaldamento terreste e la deforestazione dell’Amazzonia stanno alterando il clima della regione, riducendo in modo drastico il rilascio di miliardi di litri d’acqua da parte delle foreste pluviali». «L’umidità che arriva dall’Amazzonia sotto forma di nuvole di vapore – quelle che chiamiamo “fiumi volanti” – è tragicamente diminuita, e ha contribuito così alla devastante situazione che abbiamo oggi sotto gli occhi», ha detto Nobre.
Paul Gilding, ambientalista australiano e autore del libro The Great Disruption ha spedito un messaggio di posta elettronica dal Brasile per dire che la mancanza di un’autorevole risposta brasiliana «rafforza in me l’idea che non reagiremo alle grandi questioni globali finché queste non colpiranno l’economia. È difficile immaginare un esempio più efficace di una città di 20 milioni di abitanti che resta senz’acqua. Malgrado l’evidente minaccia, però, la risposta fondamentale è: speriamo che piova». Perché negare l’ovvio? Perché accettare questo dato di fatto ha implicazioni molto rilevanti, e dentro di noi sappiamo benissimo che quando si smette di negare l’evidenza è impossibile tornare indietro. A quel punto sarebbe inevitabile per il Paese far fronte all’emergenza invertendo, più che rallentando, il processo di deforestazione, e si presenterebbe quindi «la necessità di preparare il Paese ai rischi che un cambiamento del clima comporta».
Quando i cambiamenti nel mercato, in Madre Natura, e nella Legge di Moore si avvicendano con tale rapidità, abbondano le opportunità e le preoccupazioni. Un giorno, indiremo un’elezione per decidere come tamponarle, sfruttarle e adattarci a esse, e quel voto renderà l’America e gli americani più resilienti. Un giorno…
(Traduzione di Anna Bissanti)
©2014 New York Times News Service