Corriere della Sera, 11 novembre 2014
I contratti a tempo crescono del 20% e il 40% dei capi del personale, per evitare licenziamenti, pensa al demansionamento. E poi il Tfr, il salario minimo e la gestione degli esuberi
Chi si farà sedurre dalla promessa dei “pochi, maledetti e subito”? Il detto popolare metaforizza bene la proposta di inserire il Tfr (la “liquidazione”) in busta paga, rinunciando così a un gruzzolo consistente quando si cessa l’attività. Nessuno, per ora, sa se la proposta contenuta nel Jobs Act convincerà i lavoratori, un’informazione che, se conosciuta, darebbe un’idea di quanto il provvedimento potrebbe incidere sulla crescita dei consumi. La società di outplacement (ricollocamento dei lavoratori) Spinlight Counseling, ha provato a dare una risposta con un’indagine che ha coinvolto 200 responsabili del personale di aziende medio-grandi, in gran parte del CentroNord (circa 100 mila dipendenti in totale).
I capi risorse umane, sondando gli umori dei lavoratori e interpellando i sindacati interni, hanno concluso che il 70% di chi ha una retribuzione annua lorda non superiore ai 20 mila euro (più o meno 1.200 euro netti al mese) aderirà alla proposta di inserire il Tfr in busta paga. Chi se la passa un po’ meglio guadagnando tra i 20 e i 30 mila euro, già riterrà meno allettante quella possibilità: si farà convincere uno su due. L’appeal dei soldi subito, infine, crollerà decisamente per chi sta sopra i 30 mila euro, che sceglierà il Tfr mensile solo nel 10% dei casi.
Il sondaggio chiede poi ai responsabili del personale altri giudizi sul gradimento del Jobs Act. “La riforma dell’articolo 18 – spiega il managing partner di Spinlight Giulio Bertazzoli – non è ritenuta determinante per la gestione degli esuberi. Altrettanto poco interessante è considerato il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, un tipo di rapporto che sarà impiegato meno dei contratti a tempo determinato”. Questi ultimi nel 2014 sono stati utilizzati da otto capi del personale su dieci e non hanno riguardato solo giovani e qualifiche medio-basse, ma hanno coinvolto anche quadri e dirigenti. Proprio questi manager sono quelli che hanno subito il maggior incremento di contratti a termine: più 20% nei primi sei mesi di quest’anno rispetto al corrispondente periodo del 2013. E nel 2015 si prevede un altro aumento del 20%”.
E i lavoratori a progetto? La possibile introduzione, per loro, di un salario minimo, non spaventa il 90% del campione, che, facendo parte di grandi aziende, valuta di erogare già oggi ai cocopro, in genere di professionalità medio-alte, compensi più alti di ogni prevedibile minimo futuro.
Per evitare infine ulteriori licenziamenti, il 40% dei capi del personale pensa di ricorrere al demansionamento previsto dal Jobs Act. “Per fare un esempio – conclude Bertazzoli – se un’azienda chiude un segmento commerciale, piuttosto che licenziare il capo area potrebbe metterlo a fare il venditore”.