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 2014  novembre 11 Martedì calendario

Le donne americane alla conquista dell’esercito. Per diventare “Full Metal Jacket”, nelle truppe d’assalto, devono però superare il percorso infernale che il Pentagono ha preparato per loro

Dalle cucine ai palazzi di Montezuma, dal piccolo punto alle spiagge di Tripoli, come canta l’inno dei Marines, il posto di una donna è oggi anche “Full Metal Jacket”, nelle truppe d’assalto, se sapranno superare il percorso infernale che il Pentagono ha preparato per loro.
Per cinque mesi, dunque anche attraverso l’inverno, nei boschi aspri della Carolina del Nord attorno al forte Lejeune base della Forza di Spedizione, 105 donne stanno confrontandosi con 295 uomini per dimostrare che anche loro possono fare tutto quello che ai camerati maschi viene chiesto. Test brutali, come sollevare a braccia proiettili di artiglieria pesanti 50 chili e caricare cannoni pesanti campali. O marciare per 40 chilometri in otto ore, impresa già ardua, resa ancora più crudele dallo zaino d’ordinanza pesante 52 chili.
Il Pentagono, e il Corpo dei Marines, non avevano scelta se non mettere alla prova le aspiranti al ruolo di truppe combattenti di prima linea, perché questa è, dal 2013, la politica ufficiale del governo americano, firmata dall’allora ministro della Difesa Leon Panetta su pressione del Presidente Obama. Il servizio militare deve essere aperto, in tutti i ruoli e gli incarichi, dai telefonisti ai piloti dei caccia di Marina, dalle Forze Speciali come i Ranger e i Seal ai panzer, a tutti, senza distinzione di genere o di orientamenti sessuali. Ma generali, alti ufficiali, sottufficiali o semplici soldati radicalmente opposti al combattimento a fianco delle loro sorelle in tute mimetiche sono riusciti a ottenere che gli standard per misurare le capacità fisiche e psicologiche non fossero modificate per rendere più agevole alla femmine il superamento delle prove. «Chi combatte al mio fianco – ha brontolato il colonnello Robert Maginnis, veterano di guerra e capofila degli anti-femmine – deve essere in grado di fare esattamente tutto quello che il commilitone al suo fianco fa. Proiettili e mine non distinguono il sesso dei loro bersagli».
E non vogliono che si distinguano neppure le donne che tenacemente si iscrivono e cercano di superare il calvario al quale i superiori le sottopongono. «Provate voi a sollevare un proiettile di cannone da 50 chili pesandone 55 come peso io» dice il caporale Vicki Harris, che ci è riuscita. Raro caso perché due Marines femmina su tre abbandonano il corso già il secondo giorno. Ma anche la metà dei maschi non ce la fanno.
Oggetto del grande “Gioco di Guerra” in corso nei boschi della Carolina del Nord è raccogliere finalmente dati oggettivi, misurabili, sul comportamento e l’attitudine delle Marines, dopo anni di polemiche e di silenziosi rifiuti. Accanto agli ufficiali e ai leggendari “sergenti istruttori” illustrati in dozzine di film nel loro sadismo, lavorano team di professori universitari reclutati dalle facoltà di medicina sportiva, per misurare reazioni, resistenza alla fatica, autocontrollo.
Le reclute sono monitorate con elettrodi appiccicati al corpo e strumenti per le rilevazioni telemetriche. Tra bombardamenti e agguati con munizioni vere, come accade regolarmente nell’addestramento dei militari americani, simulazioni elettroniche di attacchi ed esplosioni, ogni azione e razione è soppesata, dalla quantità di acido lattico nei muscoli al battito cardiaco. E sono per prime le donne a chiedere che niente sia facilitato nel loro percorso, per dimostrare che tutto quello che un maschio può fare anche loro possono fare.
Era dallo shock del 1948, quando Harry Truman finalmente pose fine alla discriminazione razziale che imponeva reparti separati per bianchi e neri, che le Forze Armate Usa non doveva superare lo shock di un cambiamento così radicale. Già l’ostracismo contro gli omosessuali, anche nell’ipocrita versione del «non dirlo e non chiederlo», era stato abbandonato, ma nel caso delle donne la resistenza psicologia di un mondo storicamente maschio e maschile rimane, dietro la “correttezza politica” intensa. Che ancora fatica a digerire quel 14 percento femmina del milione e mezzo di americani in uniforme.
Gli avversari accusano la politica di avere imposto la desegregazione di genere soltanto per convenienza elettorale, senza tenere conto della realtà del combattimento. I sostenitori obbiettano che si tratta soltanto di pregiudizi. «Se una donna riesce a superare i test, non esiste alcuna ragione per escluderla da tutti i ruoli nelle Forze Armate, inutile che si illudano di farci fallire», ruggisce il caporale Princesse Aldrete: «Non ce la faranno». E se usciranno ancora in piedi dalle foreste sui Monti Appalachi, un premio attende le signore “Full Metal Jacket”: novanta giorni nel deserto Mojave, l’estate prossima in California, tra scorpioni e serpenti a sonagli. «Ma chi sopravvive al sergente istruttore non può avere paura di qualche insetto e di qualche biscia» ride il caporale Princesse.