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 2014  novembre 11 Martedì calendario

La rinascita delle cabine telefoniche tra libri, piante e punti-informazione. I telefoni pubblici non sono scomparsi, in Italia ce ne sono 82 mila. E quelli dismessi possono diventare punti d’incontro: ecco come

Con la tasca dei jeans piena di gettoni, trent’anni fa, i ragazzi si infilavano nelle cabine gialle della Sip per parlare una mezz’ora con la fidanzata senza che nessuno di casa origliasse dall’altra parte del muro. Trent’anni fa. Quando nessuno avrebbe mai immaginato la rivoluzione che c’era dietro l’angolo.
I gettoni, i tondini di rame con due scanalature parallele da un lato e una soltanto sull’altro, li davi al bar come moneta: allora, anno 1984, valevano 200 lire, più o meno 20 centesimi di oggi. Poi in ogni tasca è finito un cellulare. E c’era chi credeva che fosse il tramonto di quei parallelepipedi di vetro e alluminio. Invece no. La Sip è scomparsa, è vero, ed è arrivata Telecom e i gettoni sono diventati pezzi per collezionisti. Ma le cabine sono rimaste. Certo, ce ne sono molte meno – solo nel 2002 se ne contavano oltre 230 mila, oggi ne restano 82 mila – e hanno dovuto evolversi. Adesso, dagli apparecchi disegnati da Giugiaro, ci puoi mandare gli sms e addirittura le mail.
E non è finita qui. La seconda vita dei telefoni pubblici è fatta anche di cabine-biblioteche, dove puoi lasciare i libri già letti e portarne a casa altri mai sfogliati prima. L’idea è nata qualche anno fa a Westbury, in Gran Bretagna. Poi il fenomeno si è diffuso anche in Svezia e in Germania ed è arrivato anche in Italia. La prima Bibliocabina ha aperto ad Arona, sul Lago Maggiore. Alle pareti hanno montato dei piccoli scaffali dove appoggiare i volumi destinati allo scambio.
Prendendo spunto da questa prima esperienza, un mese fa, nel quartiere romano di Torresina, è nato un progetto simile, proposto da comitati di cittadini e supportato dal Municipio.
«Lo scopo è favorire la circolazione della cultura attraverso il bookcrossing. La scelta di farlo riadattando una cabina telefonica dismessa? Cercavamo uno spazio accessibile in qualsiasi orario, riconoscibile da tutti. Grazie all’aiuto di Telecom ce l’abbiamo fatta», racconta Giuseppe Acquafredda, uno di quelli che hanno appoggiato l’iniziativa.
Acquafredda assicura che sta funzionando. La novità piace. Ma non c’è il rischio che qualcuno se ne approfitti? Che si porti a casa un libro e non lo restituisca più? «In questo genere di iniziative lo devi mettere in conto. Fa parte del gioco»: lo dice Silvia Minenti, designer toscana che, qualche mese fa, insieme con il collega Davide Gallina, ha lanciato il progetto «Piante al telefono», trasformando un paio di vecchie cabine della capitale in serre in miniatura. Con vasetti di menta, piantine di salvia, rametti di rosmarino. E vicino alla cornetta palettine e rastrello per prendersene cura.
«Un giorno sono passata davanti a un telefono pubblico e ho pensato: “Ma esistono ancora?”. Poi ho provato a sfruttare quegli spazi che costituivano una rete cittadina per sviluppare nuove forme di socialità. Ho scelto volutamente piante aromatiche e non ornamentali. Il fatto che uno possa usarle per cucinare dà l’idea del valore che hanno». Presto il progetto potrebbe ampliarsi.
Non è escluso, infine, che nella loro second life le cabine non diventino micro-spazi espositivi, laboratori artistici e punti informativi: alzi la cornetta e al ricevitore una voce descrive le bellezze della città. A New York se n’era parlato tempo fa. E sempre nella Grande Mela il sogno del sindaco Bill de Blasio sarebbe trasformare le «Phone booths» in hot spot per il wi-fi. Che poi sarebbe la loro «evoluzione naturale». L’antico sposa il nuovo anche a Londra. Che a ottobre ha inaugurato le Solarbox: cabine verdi, non solo per via del colore delle pareti, al posto del classicissimo rosso, ma perché, sfruttando l’energia solare, permettono ricaricare gratis lo smartphone.