Corriere della Sera, 11 novembre 2014
Leggere molto per imparare a scrivere bene. L’emulazione è un’ottima pratica, quindi rubate da Proust, Gide e Balzac. Ma anche i libri mediocri o pessimi possono insegnare
La migliore scuola di scrittura? Leggere. Rubare i trucchi del mestiere ai romanzi e alle poesie dei grandi autori. E non solo dei grandi: secondo André Gide, l’emulazione è un’ottima pratica, ma anche la lettura dei libri mediocri o pessimi può insegnare. Può insegnare a «lavorare per odio».
I consigli espliciti degli scrittori sono oro puro e non bastano mai. Dunque, ben arrivata la raccolta Troppe puttane! Troppo canottaggio!, a cura di Filippo D’Angelo (minimum fax), che mette insieme le considerazioni dei maestri francesi, da Balzac a Proust. Sentite Gide: «Non cercare il facile successo del parolaio. Il tuo ruolo è ascoltare. Un grande artista è innanzitutto un grande ascoltatore. La prima condizione per ascoltare bene è cominciare a fare silenzio. Se ti avventuri nel mondo, che tu sia come un sommozzatore». Gide si è preso la briga di scrivere un manualetto di suggerimenti anche tecnici ad uso dei letterati in erba. Per esempio questo, molto prezioso per coloro i quali puntano tutto sull’«ispirazione»: «Scrivi, se vuoi, nell’ebbrezza; ma quando ti rileggi sii sobrio». Ai presuntuosi rimprovera di ritenere ogni fiasco come una conferma del proprio talento incompreso. E aggiunge: «Presta alla lode un solo orecchio; aprili entrambi alla critica».
In un articolo appena pubblicato nel bel sito Doppiozero, Luigi Grazioli esprime il suo stupore di fronte a un giovane scrittore che confessa di non riuscire a leggere più di due-tre libri al mese. Non un granché, anche se non è la quantità che conta. Ma c’è di peggio, come certi «poeti» trentenni che non hanno mai letto Caproni. A una anziana mademoiselle, Gustave Flaubert inviò lettere utilissime sul mestiere, consigliandole di nutrirsi di Montaigne: «Studiatelo a fondo, ve lo ordino, da medico». Le segnalava anche le frasi «incantevoli», da imitare, e gli scivoloni imperdonabili da evitare («abbeverarmi del suo sangue»). E insisteva: «Lavorate! Lavorate!».
In un saggio che scrisse poco più che ventenne, Marcel Proust si scagliò contro l’oscurità scambiata per profondità, e suggerì ai giovani di diffidare dei vecchi troppo facili all’adulazione e vittime di una sorta di giovanilismo un po’ cialtrone un po’ piacione (molto di moda oggi): «Invece di trarre dalla loro anzianità il diritto di diventare nostri maestri, essi chiedono di prendere lezioni da noi e nascondono di odiarci in quanto possibili successori, ammirandoci come cortigiani».