il Giornale, 7 novembre 2014
Via i falchi e i populisti: così i repubblicani hanno vinto le elezioni americane. Con l’aiuto del mondo degli affari l’establishment si è ripreso il partito tagliando le ali estreme alle primarie: «Ci serve efficienza e non retorica»
«Li schiacceremo ovunque», aveva detto a marzo il prossimo capo della maggioranza repubblicana al Senato degli Stati Uniti. Mitch McConnell non si riferiva ai democratici sconfitti nelle elezioni di metà mandato martedì, ma ai candidati delle frange più a destra del suo stesso partito repubblicano, politici del tea party e dalle visioni più radicali all’interno del movimento. «Non penso otterranno una singola candidatura attraverso il Paese», aveva anticipato in un’intervista al New York Times. Il senatore McConnell e altri leader considerati l’establishment repubblicano «hanno ripreso martedì il controllo del partito e lo hanno traghettato alla vittoria», ha scritto Time magazine, secondo il quale il movimento non avrebbe potuto sconfiggere i democratici senza aver prima eliminato l’influenza dei «ribelli» tra le sue fila. Il partito repubblicano che ha vinto non è quello degli attivisti locali del tea party, ma quello di senatori in carica a volte da diversi mandati con curricula più convezionali, come Shelley Moore Capito in West Virginia, Pat Roberts in Kansas, Thad Cochran in Mississippi, Cory Gardner in Colorado. I vertici repubblicani hanno voluto evitare lo scenario dei voti del 2010 e del 2012, in cui alcuni candidati del tea party avevano prevalso su rivali più mainstream. Il senatore repubblicano John Cornyn ha detto al sito Politico che queste elezioni di metà mandato «sono state un’evoluzione molto, molto importante» per il Grand Old Party che in passato avrebbe incontrato problemi con la sua «insistenza» nell’eleggere alle primarie personalità difficili da presentare poi in un’elezione generale.
Ed è proprio dalle primarie del 2014 che sarebbe partita la controffensiva dell’establishment per riprendersi il partito. Così, come aveva spiegato a marzo McConnell al New York Times, i politici ai vertici del partito repubblicano hanno lavorato nella stagione delle primarie per mettere da parte i candidati più radicali e sulle frange, anche con l’aiuto del mondo degli affari, non attratto dai picchi di retorica di alcuni attivisti.
La Camera di Commercio americana e American Crossroads – associazione che raccoglie fondi in favore dei repubblicani, creata dall’ex stratega di George W. Bush, Karl Rove – già a giugno 2014 avevano investito 23 milioni di dollari sulle nomine alle primarie di candidati capaci di sbarrare la corsa al Congresso delle personalità più intransigenti. In primavera, i titoli dei giornali americani riflettevano già i primi risultati della strategia del confronto dei leader del partito: «Il tea party prende un altro colpo», ha scritto il sito politico The Hill; «Per i repubblicani le primarie domano il tea party», ha spiegato a maggio il Wall Street Journal. Nessuno dei candidati più radicali ha sconfitto alle primarie repubblicane senatori in carica, più vicini all’establishment del partito. Mesi dopo, alla prova del voto di metà mandato, il successo dei repubblicani rappresenterebbe per la leadership del movimento la prova del valore alle urne di una linea più convenzionale. Dopo anni di doloroso confronto a Washington tra repubblicani e democratici – il cui culmine è stato lo shutdown del 2013, l’arresto temporaneo della attività del governo federale – il voto di martedì secondo il Washington Post avrebbe provato che «gli elettori non vogliono disfunzioni o ribellioni, ma vogliono un’amministrazione efficiente e funzionari reattivi».
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Riscrivere «quell’insano complesso di regole fiscale che stanno portando all’estero i posto di lavoro americani»
Autorizzazione al Presidente per una campagna militare senza tregua contro gli jihadisti in Iraq e in Siria.
Tra le rare «new entry» democratiche delle elezioni di midterm ci sono anche due rampolli Kennedy. Ted Jr, avvocato, che da bambino commosse il mondo quando gli fu amputata una gamba per un cancro alle ossa, ha strappato un seggio al Senato statale del Connecticut. Molto più modesto il successo del cugino William Kennedy Smith: medico e al centro 23 anni fa di un celebre processo per stupro, è stato eletto consigliere di quartiere nel Distretto di Columbia. Rappresenterà l’area del Watergate, dove abita, e dei teatri del Kennedy Center sul Potomac. Ted Jr e William Kennedy Smith si aggiungono a Joe III, figlio di Joe e nipote di Rfk (un Kennedy, dunque, di ultima generazione), rieletto martedì per la seconda volta alla Camera dei Rappresentanti per lo stato di famiglia, il Massachusetts. A accompagnare Ted sul palco della vittoria in un club italo-americano di Brandford vicino a New Haven c’era anche l’ex senatore Chris Dodd, inseparabile compagno di suo padre in mille battaglie politiche: «Sento la presenza di Teddy nella sala, sarebbe al settimo cielo».