Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 07 Venerdì calendario

Renzi e il patto del Nazareno che, a suo dire, «già scricchiola». L’incontro con B., il sodalizio con il M5S e il dialogo con Salvini

«Il patto del Nazareno «già scricchiola». Stavolta a dirlo non è la minoranza del Pd o un grillino d’assalto, ma lo stesso ideatore dell’accordo con Berlusconi: Matteo Renzi. E quanto possa traballare quel patto lo si è visto nelle ultime 24 ore in Parlamento, in una catena di piccoli o grandi avvenimenti tutti sotto un minimo comune denominatore, l’ entente cordiale fra il partito democratico e il M5s. Un’intesa culminata nel clamoroso cambio di maggioranza istituzionale avvenuto ieri sulla Consulta e Csm, con la convergenza dei dem e dei grillini sulle stesse candidate. Con l’esclusione e l’isolamento di Forza Italia.Uno schema che adesso il premier minaccia di adottare anche per l’altra partita strategica della legislatura, quella sulla legge elettorale. Dopo l’incontro a palazzo Chigi fra Berlusconi e Renzi, l’aria che tira è quella di un ultimo avvertimento al leader forzista. Prima del rompete le righe. «Lui starebbe volentieri fermo perché si è incartato tra Brunetta e Fitto, che è spinto da D’Alema – ha raccontato il capo del governo ai suoi dopo aver incassato la fumata bianca alla Corte costituzionale – ma io gli ho messo una tagliola sui tempi. E oggi gli abbiamo dato un bel segnale anche sulla Consulta. Io resto per il patto del Nazareno, ma non al punto da essere ricattato da loro». Insomma, se sul Jobs act Renzi non riconosce «potere di veto» alla sinistra interna o alla Cgil, sull’Italicum non è disposto a concederlo a Berlusconi. L’alternativa, d’altronde, è già pronta. Ed è quella di un accordo ampio, che potenzialmente può passare per i grillini ma anche per la Lega. Ed è questa l’altra novità delle ultime ore. Perché, fatti i suoi calcoli, con i sondaggi sempre in salita e il progetto di costituire un soggetto lepenista mettendo insieme tutta la destra italiana, Matteo Salvini è improvvisamente diventato molto interessato al nuovo Italicum a cui sta pensando Renzi. Tra i due ancora non ci sono stati contatti diretti, ma Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti sono stati incaricati di riaprire il canale con il Pd. «Il doppio turno non ci piace – riflette il segretario leghista – ma il premio di maggioranza alla lista ci potrebbe in effetti far comodo». Il premier, pur ritenendo ancora valida l’operazione con Forza Italia, con Guerini, Lotti e Boschi ha immaginato il nuovo schema di gioco nei dettagli: «Se Berlusconi non ci sta noi ci smarchiamo e diamo il premio di maggioranza alla lista, mettiamo le preferenze per tutti tranne i capilista e, soprattutto, abbassiamo lo sbarramento al 3 per cento. Così facciamo contenti anche Alfano e Vendola».E siccome l’appetito vien mangiando, dopo la Consulta e la legge elettorale, tra i renziani c’è già chi si spinge a immaginare intese con i grillini per il Quirinale. «Noi ci siamo rivolti a Berlusconi perché era l’unico disponibile – osserva Roberto Giachetti – ma se il M5s comincia a fare politica, allora tutto è possibile. Perché quello che abbia- mo fatto oggi con la Consulta non può funzionare domani anche per la presidenza della Repubblica?». Segnali di annusamento reciproco sono in corso da due giorni. Al Senato, sulla responsabilità civile, Maurizio Sacconi ha dovuto minacciare le dimissioni da capogruppo Ncd per sventare un patto tra M5S e Pd. E ieri alla Camera, oltre alla Consulta, l’accordo stava per essere replicato su unamozione che riguardava il Sud. Tanto che Nunzia De Girolamo è arrivata a urlare in faccia al ministro Boschi: «Mi devi dire se ormai c’è una nuova maggioranza formata da M5S e Pd!».Il guanto di sfida lanciato dal premier – quel patto che «scricchiola», gli ammiccamenti ai grillini – innervosisce Berlusconi e parecchio. E la sua indecisione sul da farsi, se piegarsi ancora una volta o ascoltare chi nel partito lo spinge a rompere, trascina Forza Italia nella palude. Visibile a occhio nudo a Montecitorio nel momento in cui in 45, quasi la metà dell’intera pattuglia parlamentare, disertano la seduta congiunta per eleggere i giudici costituzionali.Forza Italia è ormai spaccata e allo sbando: sostenitori dello strappo, da una parte, e Verdini e Letta (sempre più isolati), dall’altra. Nell’ultimo faccia a faccia di mercoledì a Palazzo Chigi, Berlusconi ha tergiversato sul premio di lista con una riflessione: «Tu una coalizione non ce l’hai, ma io sì». Nel “gran consiglio” tenuto notte tempo a Palazzo Grazioli, poche ore dopo il vertice, un blocco di fedelissimi ha poi alzato le barricate. I capigruppo Brunetta e Romani, ma anche Toti e Gelmini, lo hanno messo in guardia: «Presidente, i gruppi parlamentari stavolta non ci seguiranno, col premio alla lista noi rischiamo di finire quarti, dietro Pd, M5s e il nuovo partito di Salvini. Sarebbe un suicidio». Col capo che li ascoltava, annuiva, ma non si sbilanciava. Salvo precisare che «a Renzi l’ho detto che non accetto ultimatum, che se vuole introdurre l’Italicum anche per il Senato e dunque portarci al voto a marzo, noi non ci stiamo e alle elezioni ci va con il Consultellum, cioè col proporzionale, se proprio ci tiene tanto. Quest’ultima modifica della lista per noi è irricevibile». Questo fino all’altra notte. Ieri i pontieri sono tornati a farlo ragionare. Perché Verdini sarà pure contrario al premio alla lista, come va ripetendo e come ha ripetuto a muso duro ieri nel cortile di Montecitorio al vice segretario Pd Guerini («Renzi non può dare per acquisito un via libera che ancora non c’è»), ma avverte al contempo il suo leader che far saltare il tavolo, quello sì, per Forza Italia «sarebbe un suicidio». Nelle quattro ore di pranzo e colloquio a Grazioli col capogruppo Ppe Manfred Weber, Berlusconi ha raccontato che da «padre della patria» sta lavorando alle riforme in Italia, pronto a esercitare di nuovo la sua leadership. Peccato che nelle stesse ore in Parlamento si assisteva a un’altra scena. Perché, come sintetizzava Daniela Santanché, «con i risultati della Consulta è nata la nuova maggioranza».