La Stampa, 7 novembre 2014
La Ddr è morta per bancarotta e perché i tedeschi non ne potevano più del regime di Honecker e della cultura delatoria da Stasi. Ma l’elemento fondamentale che ha contribuito a picconare il muro è stata la fatica di fare la spesa. Poche cose erodono il consenso come gli scaffali vuoti
Brigitte scuote la testa dai capelli bianchissimi, sbotta: «Ma che vergogna». Cinque euro per uno dei simboli più tristi della Germania comunista è troppo anche per lei che ne ha viste tante. Cresciuta dietro il muro, è amareggiata perché ha scoperto che il combinato disposto della nostalgia Ddr e della scemenza hipster può essere appeso a una stampella del mercatino di Arkonaplatz. Un orrendo sacchetto della spesa di nylon rosa a fiorellini. «Ne avevamo sempre uno nella borsetta», sospira, sollevandolo con due dita come fosse un insetto schifoso. Nella vecchia Germania Est, «quando vedevi una fila per strada, ovunque, in qualsiasi momento, ti mettevi in coda anche tu». E se ti davano il quinto tostapane, lo prendevi comunque, poi lo scambiavi o lo rivendevi; era il famoso «mercato grigio».
La Ddr è morta per bancarotta e perché i tedeschi non ne potevano più del regime di Honecker e della cultura delatoria da Stasi. Ma se c’è un elemento importante e spesso sottovalutato che ha contribuito a picconare il muro, è stata la fatica di fare la spesa. Poche cose erodono il consenso come gli scaffali vuoti. Nel 1987, due anni prima del famoso 9 novembre, un rapporto riservato degli uomini di Honecker ammetteva che «mai la spesa ha provocato tanta rabbia e fatica come in questo periodo». E quando cadde il muro, i viziati cugini dell’Ovest presero a lungo in giro i berlinesi dell’Est che si precipitarono nei supermercati e nei negozi: la banana divenne uno dei simboli più tipici di quel periodo. Ma nei decenni di colli di bottiglia alternati a momenti di bulimia produttiva, nella Ddr si erano diffusi nevrosi e neologismi.
Il primo era quello che la scrittrice Monika Maron chiamava «la dittatura delle commesse e dei camerieri». Nel Paese degli scaffali che sbadigliano, chi intermedia ha il potere. E le commesse avevano il potere, per esempio, di mettere da parte i prodotti più pregiati per i clienti più affezionati. Li nascondevano sotto il bancone o sotto la cassa, i tedeschi li battezzarono «Bueckware», «prodotti di chi si china», il gesto che il negoziante doveva compiere per tirarli fuori dal nascondiglio.
Sin da quando l’economia centralizzata aveva cominciato a fare i suoi danni, alternando momenti di iper-produzione ad altri di stasi, nel Paese era cambiato anche il significato di un termine sopravvissuto alla guerra: la «Mangelware», la scarsità delle merci non era più quella delle fabbriche bombardate, ma quella dei cinque tostapane un giorno e niente carta igienica per una settimana. Tanto che appena arrivavano notizie di imminenti blackout, la gente correva a fare gli «Hamsterkaufe», le compere del criceto, le scorte a prescindere. E a volte la disfunzionalità produttiva era talmente enorme che mancavano persino i materiali per portarsi via le merci, ad esempio le vaschette o le buste per l’insalata. Ecco perché l’orrida busta di nylon era diventata la nevrotica coperta di Linus di un Paese allo stremo.
Con l’aggravarsi della situazione, verso gli Anni 80, aumentò anche l’insofferenza verso i bonzi del regime, notoriamente chiusi nelle oasi di lusso a Wandlitz o altrove, con accesso privilegiato a qualsiasi bene, in qualsiasi momento. Soprattutto, avevano la possibilità, negata alla stragrande maggioranza della popolazione, di fare la spesa negli Intershop, i famosi supermercati che vendevano merce occidentale, dove si pagava con la «mattonella blu», come i tedeschi dell’Est chiamavano il marco dell’Ovest. E c’è chi giura ancora oggi di ricordarsi persino l’odore dell’Intershop, come fosse un angolo di paradiso perduto.