La Stampa, 7 novembre 2014
Alla fine Draghi ha annunciato: «La Bce aumenterà il bilancio». L’obiettivo è acquistare bond e titoli cartolarizzati fino a mille miliardi. Decisione votata all’unanimità, anche i falchi hanno detto sì
La prima bomba, la prima prova concreta che Mario Draghi ha vinto la sua prova di leadership e ha sventato il “putsch di novembre” pronosticato da qualcuno, è arrivata a pochi minuti dall’inizio della conferenza stampa. Dopo i malumori che erano emersi nelle settimane scorse, soprattutto da parte dei tedeschi, sulla volontà del presidente della Bce di continuare a iniettare liquidità nel sistema fino a gonfiare il bilancio ai livelli del 2012, e sulla determinazione, ripetuta ad ogni piè sospinto, a spingersi sino al quantitative easing, se l’inflazione dovesse rallentare ancora, Draghi ha messo a segno un punto importante.
Ha letto il comunicato della Bce in cui l’ambizione ad aumentare il bilancio in modo deciso, prendendo a riferimento l’anno drammatico in cui si è sfiorata la fine dell’euro, è stata espressa nero su bianco. E l’italiano ha ricordato molte volte in conferenza stampa che quella dichiarazione «è stata approvata all’unanimità», compresi Jens Weidmann e i presunti frondisti.
Quando è arrivata la domanda decisiva, cioè a quale mese si riferisse, Draghi ha risposto senza un attimo di esitazione, «marzo, dopo il secondo ltro». Un segnale chiaro, per chi ha memoria di quelle gigantesche operazioni di liquidità a tre anni. L’obiettivo della Bce, dichiarato, è impegnarsi in acquisti di covered bond e titoli cartolarizzati e prestiti mirati tltro finché non si raggiungeranno i mille miliardi di euro.
Quanto alla cena d’avvio del consiglio direttivo di mercoledì sera, secondo indiscrezioni si sarebbe dovuta trasformare in un redde rationem di un terzo dei banchieri centrali contro lo stile di governo dell’ex governatore della Banca d’Italia. Draghi stesso ha minimizzato, parlando di normale dialettica, respingendo l’ipotesi che esista una divisione «tra Nord e Sud» e dimostrando, con quell’unanimismo del comunicato finale – che rinnova anche l’impegno a usare mezzi non convenzionali se le prospettive sull’andamento dei prezzi dovessero peggiorare – di aver riassorbito gli eventuali dubbi, senza mezza sbavatura.
Oltretutto, dipingendo un quadro fosco della ripresa, che appare sempre più fragile, Draghi ha anche mandato un segnale più forte sulla sua disponibilità ad agire. Ed è chiaro che in un contesto di rallentamento talmente robusto da paralizzare anche la prima economia europea, ovvero la Germania, persino le obiezioni di Weidmann hanno un limite. È chiaro, il presidente della Bundesbank ha espresso molto chiaramente la sua contrarietà agli acquisti massicci di titoli pubblici e privati, insomma a una svolta “all’americana” dell’Eurotower, così come non gradisce l’acquisto di titoli troppo tossici. E non smetterà di farlo. Ma è anche un membro responsabile del direttorio che sa quanto sia fondamentale la credibilità di una banca centrale. Una fronda manifesta, in questo momento, potrebbe avere conseguenze devastanti sull’umore dei mercati.
Che la Bundesbank si fosse cercata nei mesi scorsi degli alleati tra i falchi tradizionali come il lussemburghese, l’olandese o il finlandese, ma anche tra i “nuovi arrivi” come i baltici che sono campioni di austerità e ortodossia, non è una novità, riemerge periodicamente nei rumors come un fiume carsico. Ma da qui a segnalare ai mercati una balcanizzazione della banca delle banche, per fortuna, ce ne passa.