Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 07 Venerdì calendario

Obama non vuole governare per i prossimi due anni da “anatra zoppa” ed è pronto a dare battaglia su immigrati, fisco e petrolio. Compromessi coi repubblicani? A volte, se possibile. Scontri? Certamente tanti, e ce n’è uno che già sta per esplodere

No, Barack Obama non accetta la parte del “lame duck”, anatra zoppa. Sconfitto e indebolito, ma pur sempre capo dell’esecutivo. L’ultimo biennio del suo ultimo mandato sarà battagliero. Compromessi coi repubblicani? A volte, se possibile. Scontri? Certamente tanti, e ce n’è uno che già sta per esplodere. Anche sulla scena internazionale Obama è deciso a sfoderare grinta. Questa domenica parte per Pechino dove lo attende il vertice Apec (Asia-Pacifico) cui partecipa anche Vladimir Putin; subito dopo va in Australia per un G20. Due summit globali di grande importanza nei quali è ben deciso a far pesare una forza oggettiva: checché ne pensino i suoi elettori, l’America ha l’economia più solida del momento. Di fronte all’eurozona comatosa, alla Russia in caduta libera, alla Cina che rallenta, è prematuro intonare messe funebri per la leadership Usa.
«Il presidente sta agitando un drappo rosso davanti a un toro». La battuta è di Mitch McConnell, nuovo leader della maggioranza repubblicana al Senato. È un preavviso di battaglia. McConnell reagisce corettive sì a un annuncio importante di Obama: il presidente andrà dritto per la sua strada su un dossier scottante, l’immigrazione. Obama è deciso a usare in quel campo la discrezionalità del potere esecutivo. Dunque firmerà di- e regolamenti per ridurre al minimo le deportazioni, facilitare la regolarizzazione degli immigrati che non hanno permessi di soggiorno. È il surrogato di quella grande riforma che lui aveva proposto al Congresso, e che i repubblicani hanno bocciato. Ecco già un segnale del biennio che si prepara. Di lotta e di governo. Ci sono dossier sui quali Obama pensa che la convergenza bipartisan con la nuova maggioranza repubblicana sia possibile, e utile nell’interesse del paese. Su altri terreni è pronto ad andare allo scontro.
Il caso dell’immigrazione illustra i vantaggi dello scontro. Da una parte Obama mette in contraddizione le due anime della destra: il Big Business vuole frontiere aperte agli immigrati, il Tea Party invece è populista e xenofobo. Inoltre nel 2016 come in tutte le presidenziali l’affluenza al voto sarà molto più alta, torneranno in massa alle urne gli ispanici, e aiutare gli immigrati è anche un buon calcolo elettorale (a vantaggio di Hillary Clinton). Infine è una di quelle battaglie di valori su cui Obama vuole costruire la propria immagine futura, quella per i libri di storia. Lo ha detto: «I principi per i quali mi batto, le cose che mi motivano ogni giorno, questi valori non cambiano in seguito a un’elezione». Naturalmente Obama non è il solo a decidere che segno avrà questo biennio. I riflettori ora sono puntati sulla coppia al comando del partito repubblicano: in attesa che comincino le danze per la nomination presidenziale, i leader al Senato (Mitch McConnell) e alla Camera (John Boehner) sono il volto ufficiale della destra, è nelle loro mani la strategia parlamentare da qui al 2016. Devono ascoltare la rabbia anti-obamiana della base più militante, ma al tempo stesso non possono cadere nella trappola del puro ostruzionismo.
Tra i punti di possibile intesa c’è il via libera all’oleodotto Keystone Xl dal Canada al Golfo del Messico. Gli ambientalisti non lo vogliono. Ma Obama sa che all’interno del suo stesso partito c’è una “lobby petrolifera”, forte negli Stati Usa che stanno godendo di un boom energetico. Un altro terreno di dialogo è la riforma della normativa fiscale. Democratici e repubblicani possono concordare che va ridotta la tassa sugli utili societari, dal 35% al 28% o al 25%. Ma dove recuperare il gettito mancante? Obama da tempo insiste per una tassa sui multimilionari, una lotta ai paradisi fiscali offshore e alle multinazionali che vi eludono le imposte, nuovi prelievi anche sulle rendite finanziarie. I repubblicani ancora una volta hanno constituency molto diverse al loro interno. Il popolo del Tea Party è fatto di un ceto medio impoverito, che ce l’ha a morte con Wall Street. D’altra parte ci sono le lobby ricche e potenti che hanno staccato assegni per finanziare questa campagna elettorale. Accontentare tutti non sarà facile.
L’anima popolare del partito repubblicano, è quella che ha contribuito alla vittoria in cinque Stati dei referendum per alzare il salario minimo: una manovra egualitaria che Obama aveva proposto a livello federale, scontrandosi col veto della destra al Congresso. I redditi della middle class americana, se misurati in potere d’acquisto reale, sono sostanzialmente fermi dal 1999. E da quando è iniziata questa ripresa (cinque anni fa) quasi tutti i frutti della crescita sono andati nuovamente ad arricchire l’1% dei privilegiati. Questo è un fattore determinante dietro il senso d’insicurezza economica che ha alimentato il voto di protesta. Ma è poco probabile che le ricette repubblicane modifichino questo modello di crescita diseguale e squilibrata. Avremo degli “showdown” fatti per impressionare la platea: è probabile che Camera e Senato votino l’abrogazione della riforma sanitaria di Obama. Lui opporrà il potere di veto presidenziale, e dunque rispedirà al mittente la legge di abrogazione. Non è con questi gesti ad effetto che il partito repubblicano può preparare la conquista della Casa Bianca nel 2016.
Su una previsione c’è ampio consenso: Obama e i repubblicani sono favorevoli ai nuovi trattati di libero scambio in corso di negoziato con l’Europa e con l’Asia. Obama trova una sponda nella destra, mentre è in seno al partito democratico che ci sono resistenze protezioniste e ripensamenti verso la globalizzazione. Ma per la firma di questi trattati i tempi saranno lunghi comunque, e i benefici tutti da dimostrare.