Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 06 Giovedì calendario

Si riapre finalmente la discussione sulle vittime dimenticate della Prima guerra mondiale: coloro che furono fucilati per diserzione, per disobbedienza, per «intelligenza con il nemico» o per essersi arresi al nemico, o per insubordinazione

Finalmente si riapre la discussione sulle vittime dimenticate della Prima guerra mondiale: coloro che furono fucilati per diserzione, per disobbedienza, per «intelligenza con il nemico» o per essersi arresi al nemico, o per insubordinazione. Furono un numero altissimo, in parte spontaneamente, in parte seguendo la propaganda della componente neutralista del Partito socialista. In parte furono dei poveracci capitati casualmente nella decimazione di interi reparti. Senza togliere nulla a chi combatté in buona fede per la patria, ingannato dalla propaganda bellicista, nei fatti furono queste vittime dimenticate a capire più di altri il senso della guerra. Va ricordato che Austria e Germania offrirono Trento e Trieste all’Italia in cambio della neutralità: un conflitto quindi inutile, se non per gli interessi del grande capitale. In altre nazioni, Francia e Gran Bretagna, si è deciso di riabilitarli, e di aggiungere i loro nomi alle lapidi dei caduti nei Paesi. In Italia ancora nulla.
Lorenzo Picunio
lorenzo.picunio@gmail.com
Caro Picunio,
il problema della riabilitazione dei disertori e di quanti furono passati per le armi dopo decimazioni e giudizi sommari, è stato evocato da Aldo Cazzullo sul Corriere del 4 novembre e non è un fenomeno esclusivamente italiano. A cent’anni dall’inizio della Grande guerra conosciamo le tragedie e i disastri di cui fu causa, fatichiamo a immedesimarci nei sentimenti di coloro che per molti anni continuarono a trarne motivo di fierezza nazionale, proviamo maggiore simpatia per i dissenzienti e gli oppositori, trasferiamo sulle vittime gli onori che rendevamo ai combattenti. Come accade spesso, il pendolo della pubblica opinione ha cambiato verso e produce giudizi opposti a quelli delle generazioni precedenti. Ma queste inversioni di tendenza, nel rovesciare i giudizi tradizionali, finiscono spesso per adottare argomenti discutibili e prove non completamente verificate.
Non è vero, ad esempio, che il «gran capitale» abbia avuto una influenza determinante. La guerra scoppiò per motivi strettamente politici e territoriali quando tutte le maggiori potenze europee cominciarono ad avere dubbi sulle reciproche intenzioni. Molte industrie, durante il conflitto, divennero più grandi e più ricche lavorando per le forze armate e i governi. Ma alla vigilia della guerra non vi era industriale o banchiere europeo che non si interrogasse con preoccupazione sul futuro della sua impresa. L’Italia entrò nel conflitto contro l’Austria-Ungheria, ma continuò a commerciare con la Germania, il suo maggiore partner economico, sino a quando Francia e Gran Bretagna, nel 1916, non le imposero di dichiarare guerra anche al Reich tedesco.
Quanto ai negoziati che precedettero l’intervento italiano, caro Picunio, non è esatto che l’Austria abbia offerto all’Italia, per assicurarsi la sua neutralità, Trento e Trieste. Con una comunicazione dell’ultima ora, dopo forti pressioni del suo alleato tedesco, promise che avrebbe ceduto il Trentino italiano sino al confine linguistico, e la costa occidentale dell’Isonzo. Ma Trieste sarebbe divenuta una libera città imperiale, l’Italia avrebbe dovuto pagare un indennizzo per i territori acquisiti e avrebbe dovuto impegnarsi a non pretendere compensazioni se l’Austria-Ungheria, alla fine del conflitto, avesse acquisito nuovi territori.
Il documento austriaco porta la data del 19 maggio 1915. Quasi un mese prima, il 26 aprile, l’Italia aveva firmato a Londra un patto molto più favorevole con Francia, Gran Bretagna e Russia. Grazie a quelle intese, l’Italia avrebbe avuto, dopo la vittoria, la linea delle Alpi dalla Svizzera al Golfo di Fiume (un’area che comprendeva il Tirolo austriaco sino al Brennero, Gorizia e Trieste), le isole dalmate dell’Adriatico settentrionale e una parte dell’Albania. Fu bello ed elegante che l’Italia negoziasse contemporaneamente con ciascuno dei due blocchi? No, ma è impossibile negare che le concessioni degli Alleati occidentali rispondessero maggiormente all’interesse nazionale come era percepito allora dalla maggioranza della classe dirigente e della società italiana.