Il Messaggero, 6 novembre 2014
Interstellar, il nuovo film di Christopher Nolan, visto dall’astrofisico Giovanni Bignami: «L’uomo abiterà altri mondi. Tra qualche generazione andremo a cercare nuovi pianeti, bisogna solo trovare la propulsione adatta. Dai buchi neri invece si rischia di non uscire»
La parola allo scienziato. Giovanni Bignami, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, scrittore e divulgatore televisivo, è corso a vedere Interstellar, il film di Christopher Nolan che esce oggi nelle sale. Anche perché nel suo ultimo, godibilissimo libro Il mistero delle sette sfere (Mondadori) parla dell’esplorazione nel cosmo: e sullo schermo, mentre la terra rischia l’estinzione, Matthew McConaughey cerca un nuovo pianeta da colonizzare.
Professore, le è piaciuto Interstellar?
«Sì, è un ottimo film. Mi sono sentito sopraffatto, come se un’onda del Pacifico mi avesse travolto su una spiaggia del Messico. Del resto è proprio l’onda gigante cosmica l’effetto speciale più sorprendente».
L’impianto scientifico le è sembrato plausibile?
«Certo, non a caso c’è dietro il grande fisico americano Kip Thorne, ideatore della storia e coproduttore. Il film punta anche su una parte di fantasia, ma non guasta».
Andremo davvero a cercare altri pianeti da abitare?
«Senza dubbio, è solo questione di tecnica: bisognerà trovare la propulsione adatta. Ma tra qualche generazione faremo lo stesso viaggio di McConaughey».
Entreremo anche noi in un buco nero?
«Lo sconsiglierei vivamente: il rischio è di non uscirne!».
Il buco nero del film si chiama Gargantua: esiste?
«Quel nome dev’essere un omaggio di Nolan alla letteratura francese. I buchi neri (la scienza ne ha individuato qualche centinaio) sono in realtà indicati da sigle matematiche».
E i “wormhole”, i tunnel spazio-temporali che consentono i viaggi nel tempo?
«Sono il frutto di una teoria, nessuno sa se esistano».
È ipotizzabile la realtà pentadimensionale?
«Per il momento siamo fermi a quattro dimensioni, ma la teoria delle Stringhe ne prevede undici».
Qual è il valore del film?
«La proiezione in un futuro al di là della terra. E ho trovato magnifica la parte finale, quando il protagonista comunica con la figlia: si parla del rapporto tra spazio e tempo».
Cosa boccia?
«Le tute degli astronauti, troppo aderenti per essere realistiche. E il fatto che i pianeti abbiano la stessa gravità e le stesse temperature della Terra. Ho trovato poi melenso il rapporto padre-figlia».
Insterstellar le è piaciuto più o meno di Gravity?
«Paragone impossibile. Interstellar è un film di fantascienza, cioè prefigura scenari futuri, mentre Gravity si svolge su una stazione spaziale esistente».
Nolan ha superato Kubrick?
«No, “2001 Odissea nello spazio” rimane il più grande film di fantascienza dopo “Viaggio nella luna” che Meliès realizzò nel 1902. Interstellar comunque colpisce e coinvolge puntando su effetti speciali».
Film come questo hanno un’utilità didattica?
«Sicuramente. Sono umilmente grato ai realizzatori di Interstellar che affronta temi scientifici in modo rigoroso e accattivante. Lo stesso Thorne ha ammesso di aver spinto i limiti della scienza un po’ troppo avanti, ma in misura ragionevole. Mi pare la migliore definizione del film».