Libero, 5 novembre 2014
Il libro di ricette jihadiste. I macellai incapucciati dell’Isis hanno capito che Masterchef e simili tirano e hanno deciso di cimentarsi nel genere. Il Califfato pubblica un manuale di cucina e bon ton. E c’è pure lo stilista dei terroristi
Et voilà, cotto e sgozzato. Per la serie cucine da incubo, ecco il nuovo prodotto di quella multinazionale del marketing che è lo Stato islamico. Un bel manuale di cucina, per la perfetta Wilma De Angelis approvata da Allah. Una versione made in Isis dei programmi di Benedetta Parodi e Gordon Ramsay, dove nella Hell’s Kitchen finiscono soltanto gli infedeli.
I macellai incapucciati hanno capito che Masterchef e simili tirano e hanno deciso di cimentarsi nel genere. Conoscendo la loro passione per la carne al coltello (e immaginando che anche i loro strozzapreti sarebbero ottimi), c’è pure il rischio che abbiano successo.
Del resto, i miliziani del Califfato sono noti per prendere la gente per la gola. I reporter del sito Vocativ hanno tradotto il primo capitolo del manuale di cucina realizzato da al-Zawra, in pratica la «scuola di buone maniere» che lo Stato islamico ha messo in piedi appositamente per le fanciulle. Certo, non è che tutte possano iscriversi. Le attività sono rivolte alle «sorelle» che si vogliono «preparare per i campi di battaglia della jihad». Trattasi delle dolci femminucce che – parole degli organizzatori – «sono più interessate alle cinture esplosive e agli attentati suicidi che a un vestito bianco, un castello o ai vestiti e ai mobili». La scuola in questione fornisce consigli preziosi alle spose della guerra santa. Un po’ come i programmi di Real Time con le istruzioni su come agghindarsi o abbellire la cosa. Solo che, al posto di Ma come ti vesti?, c’è Ma come ti fai esplodere?, con Enzo Miccia alla conduzione.
Ci sono indicazioni su come rammendare i vestiti, su come organizzare i lavori domestici e pure su come tenersi in forma (per far fuori gli infedeli, ovviamente): «Prendetevi mezz’ora al giorno per andare a correre. Cercate di aumentare la lunghezza del percorso ogni giorno, in modo da non essere un peso per i vostri fratelli jihadisti».
Per quanto riguarda il palato, la prima ricetta fornita dagli esperti dell’Is è quella delle polpette di datteri, cibo ideale per il mujaheddin. Anche perché possono essere «mangiate col caffé o con l’acqua, in qualsiasi momento, specie nelle pause fra una battaglia e l’altra». Non solo: «Contengono un numero significativo di calorie, e daranno più forza ed energia ai combattenti». Seguono le foto delle varie fasi della preparazione, esattamente come sul sito GialloZafferano.
Poteva a questo punto mancare la moda? Certo che no. E infatti il Califfato ha al suo servizio anche un fashion designer, uno stilista. O almeno lui si definisce tale. Su Twitter dice di chiamarsi Abu Suhaib, e dichiara di aver realizzato diversi capi per il massimo comfort del jihadista. Senza trascurare l’estetica. Stando alle sue parole, il modo in cui si vestono i guerriglieri è un nato per fornire «un ritratto del vero islam». Particolare attenzione, come ovvio, è dedicata ai cappucci che devono nascondere il volto dei combattenti, senza ostacolarli sul campo. «I copricapi e gli abiti e il modo in cui portiamo le armi rispettano la legge islamica», precisa lo stilista Suhaib. Armani Akbar, fratello.
Ironia a parte, tutto ciò dimostra che non è in corso uno scontro di civiltà. Semmai un’inversione di civiltà. Come ha fatto con i film e le serie tv, il Califfato prende spunto dalle dinamiche occidentali per rivoltarle contro l’Occidente. E per attirare i musulmani che vivono nel Vecchio Continente, e che sono ormai avvezzi allo stile di vita degli infedeli. Purtroppo, l’inversione vale anche per l’Occidente medesimo, che per rispondere all’offensiva non trova di meglio che limitare la libertà.
Lo dimostra quanto ha dichiarato ieri Robert Hannigan, capo dell’agenzia di sorveglianza britannica Gchq. Secondo lui, Facebook e Twitter «aiutano i terroristi». Verissimo. Sono perfetti strumenti di propaganda e reclutamento. Che soluzione propone, il nostro Hannigan? Chiaro: «Ripensare il concetto di privacy». Tradotto: controllare i social, censurare, spiare. Ovvero limitare la libertà. La stessa libertà che dovrebbe renderci migliori dell’Is.