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 2014  novembre 05 Mercoledì calendario

Da oggi per divorziare basterà il sindaco. Ma solo ad alcune condizioni: l’accordo deve essere consensuale, la coppia non deve avere figli a carico e non vi devono essere trasferimenti patrimoniali. Solo per loro sarà più facile dire addio

Non è ancora il divorzio breve, ma è sicuramente più facile. «Per la prima volta si potrà concludere un accordo di separazione o di scioglimento del matrimonio di fronte al sindaco», spiega il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, in mezzo al Transatlantico affollato di deputati che stanno portando a termine il voto di fiducia sul suo decreto.
Lo prevede l’articolo 12 della legge – che passerà definitivamente col voto finale previsto per oggi -: le coppie decise a dirsi addio – purché si tratti di separazione o divorzio consensuale – senza figli a carico e in cui non ci sono trasferimenti patrimoniali, possono presentarsi davanti al sindaco per porre fine al matrimonio. Il primo cittadino, ufficiale di stato civile, assegna un tempo di trenta giorni agli sposi per riflettere sulla scelta: se un mese dopo non si ripresentano, l’accordo salta. Altrimenti è fatto, saltando tribunali e attese di udienze che, assicurano vari parlamentari avvocati, può essere anche di mesi.
Ma anche per le coppie con figli, anche se minori o portatori di handicap, il provvedimento prevede, all’articolo 6, una semplificazione della legge attuale: in caso di addio consensuale, i coniugi potranno ricorrere alla negoziazione assistita, cioè decidere le condizioni di comune accordo con l’assistenza degli avvocati di fiducia, e saranno poi loro, i legali, a trasmetterlo entro dieci giorni al procuratore della Repubblica che darà l’ok se valuterà l’accordo raggiunto «rispondente all’interesse dei figli». Si torna al procedimento «tradizionale» se invece il procuratore dovesse trovare l’accordo non congruo: a quel punto, trasmetterà gli atti al presidente del tribunale che convocherà le parti.
«Introducendo queste novità, eviteremo di caricare i tribunali con tanti accessi inutili per separazioni e divorzi consensuali», dichiara il responsabile giustizia del Pd, David Ermini. «Non ci sarà nessun effetto deflativo sui tribunali, non sono questi i contenziosi che li ingolfano», dissente il deputato della Lega Nicola Molteni. «Ora – aggiunge però Ermini – si tratta di approvare velocemente anche la legge sul divorzio breve per dimezzare il tempo di attesa fra separazione e divorzio». Perché, sia ben chiaro, le norme contenute nel decreto non incidono sui tempi di separazione necessari per ottenere il divorzio, che restano di tre anni. Almeno per ora: perché anche su questo il Parlamento sta lavorando. Nel maggio scorso una legge per fare diventare «breve» l’addio dei coniugi è passata alla Camera, a prima firma Moretti (Pd) e D’Alessandro (Fi): porta i tempi necessari da tre anni a uno, in caso di separazione giudiziale, e a sei mesi, in caso di consensuale. Ma, da allora, è ferma al Senato: il Pd aveva anche provato a trasformarla in emendamento al decreto sul processo civile di cui si è votata la fiducia ieri, in modo da accelerare i tempi, ma si è scontrato con il no degli alleati dell’Ncd. «Le norme contenute nel decreto sul divorzio “facile” unite al provvedimento su cui stiamo lavorando sul divorzio breve avranno effetti esplosivi, possono davvero migliorare la vita a molti italiani», predica la senatrice dem Rosanna Filippin, relatrice della legge sul divorzio breve al Senato. «Abbiamo presentato gli emendamenti in Commissione, dobbiamo votarli, sto facendo pressione sul presidente perché si acceleri, spero nella settimana prossima», aggiunge. Divorziare in sei mesi presentandosi davanti al sindaco. Potrebbe succedere anche questo, tra poco, in Italia.