Il Messaggero, 5 novembre 2014
Anche l’Esselunga è in crisi, il suo fatturato segna un -30 per cento. Le persone sono alla continua ricerca di sconti e promozioni, hanno ridotto al minimo indispensabile i consumi e sull’alimentare si stanno indirizzando sempre di più su cibi basici, di basso costo
La previsione è da brividi e visto che l’anno volge al termine difficilmente potrà migliorare: Esselunga, primo operatore italiano della grande distribuzione, chiuderà il 2014 con ricavi di «almeno il 30% inferiori» agli anni precedenti. Ad annunciarlo è Bernardo Caprotti (nella foto), patron del gruppo. La crisi quest’anno ha colpito duro, le persone sono alla continua ricerca di sconti e promozioni, hanno ridotto al minimo indispensabile i consumi e sull’alimentare si stanno indirizzando sempre di più su cibi basici, di basso costo. «C’è una deflazione del 2%, si vende il 40% in promozione, e la gente compra uova, farina, acciughe e non roba cara. La nostra chiusura d’anno non sarà brillante» dice Caprotti. Nel 2013 la Supermarkets Italiani della famiglia Caprotti, titolare del marchio Esselunga, ha chiuso con un fatturato di 6,78 miliardi in crescita dello 0,8% sull’anno precedente. Ai suoi concorrenti è andata diversamente: il gruppo Auchan-Sma ha chiuso il 2013 con 4,86 miliardi (-4,3%), e Carrefour con 4,76 miliardi (-6,5%).
Nonostante il mercato nel 2014 si sia contratto, la famiglia Caprotti continua a investire: ieri il patron del gruppo ha inaugurato un nuovo supermercato a Firenze. La cautela sull’andamento del 2015 però resta d’obbligo, anche se Caprotti ripone molte speranze in questo governo: «Renzi sta cercando di fare, è una persona robusta, è giovane, e fiorentino: e a me sta simpatico». Aggiungendo: «Questo non significa che non mi stia simpatico anche Bersani: se abbiamo fatto questo è merito delle sue riforme». Caprotti apprezza soprattutto la volontà del governo di «semplificare» le tante regole che soffocano l’impresa. Bene quindi il Jobs act e le modifiche allo Statuto dei lavoratori. «La maggior parte della gente l’articolo 18 neppure sa che esiste, lavora e basta» dice il numero uno di Esselunga. Che bolla come «una favola» la tesi cavalcata dalla Cgil che il Jobs act possa dare mano libera ai licenziamenti. Più realistico invece è il fatto che il dibattito possa surriscaldarsi oltremisura: «L’articolo 18 serve a qualcuno, lasciamo perdere, io non sono un giuslavorista, e soprattutto non voglio che mi sparino» è l’amara e (angosciante) affermazione.