Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2014
La Rai se la passa male. Gli introiti pubblicitari si sono dimezzati nonostante gli sconti fino al 90 per cento. E i vertici non hanno contromosse
La Rai sta andando a fondo e tutti fanno finta di niente. Per mesi gli esegeti del servizio pubblico televisivo si sono strappati i capelli per il salasso da 150 milioni di euro imposto dal premier Matteo Renzi alla presidente Annamaria Tarantola e al direttore generale Luigi Gubitosi.
MA LA VORAGINE autentica dei conti Rai è sul fronte della raccolta pubblicitaria. Nel 2007, prima della grande crisi, la concessionaria Sipra ha venduto spot per 1,371 miliardi di euro. Nel 2013 il contatore si è fermato a 768 milioni. Quest’anno il capo di Rai Pubblicità Fabrizio Piscopo ha già ammesso che non andrà oltre i 670/690 milioni nella migliore delle ipotesi.
In sette anni, i ricavi pubblicitari della Rai si sono semplicemente dimezzati. Nello stesso periodo Mediaset ha perso circa il 30 per cento della pubblicità, perché il periodo è duro per tutti. Però le televisioni del Biscione sono private e possono manovrare a piacimento il mix di prodotto e il costo dei palinsesti, mentre la Rai deve fare i conti con gli obblighi del servizio pubblico per il quale paghiamo il canone, e invece manifesta una certa rigidità strategica. Nessuna azienda normale rimarrebbe ferma di fronte al dimezzamento dei ricavi tipici. La Rai, invece, continua imperterrita la sua navigazione e tutte le sue orchestre e orchestrine continuano a suonare. Come se non fosse accaduto niente. In questo nuovo anno orribile – che segna l’ennesima perdita di fatturato pubblicitario nonostante i mondiali di calcio, dai quali ci sai aspettava molto e che hanno invece fruttato solo 45 milioni di ricavi – il vertice Rai ha reagito alle difficoltà con due mosse, una palliativa e una decisamente assurda. Quella palliativa riguardava l’accorpamento di Tg1 e Tg2 e delle altre testate giornalistiche Tg3, Tgr e Televideo sotto l’ombrello di Rainews. Una razionalizzazione di costi piuttosto marginale peraltro abortita rapidamente.
QUELLA assurda riguarda la quotazione in Borsa della controllata Raiway, che gestisce gli apparati di trasmissione, tralicci, ripetitori e via dicendo. La prossima settimana prenderà il via il collocamento sul mercato del 35 per cento delle azioni, operazione dalla quale Gubitosi conta di ricavare almeno 250 milioni. Operazione tre volte assurda. Primo. È offensiva per il mercato, perché ripropone il malcostume solo italiano di quotare una società controllata che deve quasi tutto il fatturato alla controllante. Non a caso il prospetti di collocamento di Raiway avverte che il principale fattore di rischio per gli investitori è connesso “alla concentrazione dei ricavi dell’emittente nei confronti di un numero limitato di clienti”. L’83 per cento dei ricavi Raiway arriva dalla Rai. Secondo. Chi comprerà azioni Raiway si consegnerà così alle decisioni della Rai: se vorrà salvaguardare il proprio bilancio, la società di viale Mazzini pagherà poco i servizi a Raiway, i cui azionisti non vedranno un dividendo neppure dipinto; se invece vorrà premiare gli investitori strapagherà i servizi di Raiway, e forse alla fine quei 250 milioni incassati costeranno alla Rai più che se li prendesse in banca. Terzo. La cosa più incomprensibile è vendere un pezzo del proprio patrimonio – e il network di antenne è forse la cosa più preziosa di Viale Mazzini – per ripianare le perdite correnti del 2014.
Nulla che affronti di petto la vera malattia della Rai, la perdita di spot che ormai è evidente anche al telespettatore. La Rai per legge può avere un affollamento pubblicitario del 4 per cento (limite settimanale) ma in questa stagione non va oltre il 3,5. Gli spot non si vendono benché Rai Pubblicità applichi sconti sino al 90 per cento. Le fasce più difficili da riempire sono quelle della mattina e della prima serata, dove le reti Rai non raggiungono gli ascolti promessi agli investitori. Due esempi. Ballarò ha uno share medio del 7,5 per cento – l’anno scorso era quasi il doppio – e dunque al conduttore Massimo Giannini capita di non avere più quattro interruzioni pubblicitarie durante il programma (che dura 2 ore e 50 minuti), ma soltanto tre. Ballando con le stelle, il varietà di punta del sabato sera, superato spesso dal programma omologo di Canale 5, ha lo stesso problema.
Anche sul fronte del canone le prospettive non sono rosse. Nel 2013 la Rai ha raccolto 1,68 miliardi di euro, perdendo i 500 milioni legati a un’evasione stimata nel 27 per cento.
QUEST’ANNO il canone è stato colpito dal prelievo di 150 milioni di euro deciso dal governo per coprire gli 80 euro in busta paga. La legge di Stabilità prevede che dal prossimo anno al canone sarà applicato un taglio progressivo per cui nel 2017 dagli 1,68 miliardi del 2013 si passerà a 1,42 miliardi, con una perdita di ricavo del 15 per cento. Di fronte a questo quadro il direttore generale, Gubitosi, sembra avere un solo pensiero: portare a casa i 250 milioni della quotazione Raiway per chiudere in attivo il bilancio 2014, che senza quella boccata d’ossigeno sarebbe destinato a un rosso di 150 milioni, proprio il salasso di Renzi, al quale la Rai non è stata in grado di reagire in nessun modo. Infatti i conti del primo semestre si sono già chiusi con una perdita di 77,9 miliardi, la metà della tassa Renzi più spiccioli.
Quanto poi ai piani strategici per dare una sistemata alla Rai più povera dei prossimi anni, nessuno ne parla. Ne parleranno i successori di Gubitosi, la prossima primavera. Forse.