Corriere della Sera, 5 novembre 2014
In Pakistan hanno ucciso e poi brucuato in una fornace una coppia di cristiani. Lei si chiamava Shama Bibi e aveva 30 anni. Lui era Shahzad Masih, cinque di più. Una giovane coppia, come tante. Tre figli e un altro in arrivo. Erano cristiani. Erano accusati di blasfemia contro il Corano
Per ucciderli sono arrivati anche dai villaggi vicini. Erano centinaia. Come le gocce di un fiume che si trascinava dentro odio e pregiudizio. Volevano fare «giustizia». Qualcuno aveva profanato il loro Dio. Bruciato il Corano. Non bastava assassinare i colpevoli. Dovevano cancellare anche i loro corpi. Farli diventare cenere e polvere da buttare via. Li hanno presi, picchiati e poi gettati in una fornace dove si cuociono i mattoni. Bruciati vivi.
Lei si chiamava Shama Bibi e aveva 30 anni. Lui era Shahzad Masih, cinque di più. Una giovane coppia, come tante. Tre figli e un altro in arrivo. Erano cristiani. Qualcosa che, in certe parti del Pakistan, è meglio tenere nascosto. Lavoravano in una fabbrica di argilla. In un posto dal nome che sembra inventato, Chak 59, un villaggio che non si trova neanche sulle mappe. Vicino a Kot Radha Kishan, a sud di Lahore, nella regione del Punjab.
Nei giorni scorsi il padre di Shahzad era morto. Dopo il funerale i due giovani erano tornati nella sua casa. Per ripulirla e sistemarla. Dentro c’erano delle vecchie carte che, ormai, non servivano più. Shama aveva pensato di bruciarle, facendone un piccolo rogo nel cortile. Un uomo che assisteva alla scena giurava di aver visto tra quei fogli anche alcune pagine del Corano. Abbastanza per essere accusati di blasfemia. Senza stare a verificare se il testimone fosse attendibile. Una colpa che aveva già causato la morte di altri cristiani in Pakistan.
Una folla di musulmani inferociti si è messa in cammino da cinque villaggi. Ha sequestrato i due giovani. Li ha portati nella fabbrica di argilla dove lavorano. Li ha picchiati. Due giorni da incubo. Che, forse, nessuno potrà raccontare. Poi i corpi di Shama e Shahzad, ancora vivi, sono stati buttati come sacchi dentro la fornace ardente. Solo allora la notizia è arrivata alle autorità, allertate dagli altri cristiani del villaggio. Il blitz nella fabbrica quando tutto era ormai finito. E per arrestare trentacinque carnefici.
La storia di Shama e Shahzad raccontata da un avvocato che si batte per i diritti umani, Sardar Mushtaq Gill. «È una vera tragedia – ha detto il legale – un atto barbarico e disumano. Il mondo intero deve condannare fermamente questo episodio che dimostra come sia aumentata in Pakistan l’insicurezza tra i cristiani». E il monito: «Basta un’accusa per essere vittime di esecuzioni extragiudiziali. Vedremo se qualcuno sarà punito per questo omicidio». Già, perché un portavoce della polizia, Muhammad Bin Yameen, ha raccontato che i due giovani erano già morti, a causa del pestaggio subito, prima di essere gettati nella fornace. Una ricostruzione che potrebbe cambiare la gravità delle accuse ai responsabili.
La persecuzione contro i cristiani in Pakistan è aumentata negli ultimi anni dopo un periodo di relativa tolleranza e convivenza. Il caso di Asia Bibi, la giovane condannata a morte per blasfemia, continua a scuotere le coscienze. Un altro cristiano, Sawan Masih, è nel braccio della morte dallo scorso aprile. Anche per lui la pena capitale è stata chiesta per aver profanato la religione islamica. Nei giorni scorsi è stato incontrato in carcere da Joseph Francis, leader dell’Ong Claas (Centre for legal aid assistance & settlement) che segue e assiste casi di cristiani discriminati e perseguitati in Pakistan.
In una nota inviata all’ Agenzia Fides, Francis ha raccontato che Sawan Masih ha ribadito la sua innocenza, si è detto molto deluso per il corso seguito finora dalla giustizia. «Purtroppo gli estremisti stanno diventando molto potenti, talvolta anche tribunali e polizia sembrano impotenti», ha commentato a Fides Joseph Francis.
L’odissea di Sawan Masih è cominciata nel marzo 2013, quando l’uomo è stato accusato di blasfemia. Alla notizia del suo arresto si sono registrati disordini a Lahore, dove più di 178 case del quartiere cristiano di Joseph Colony sono state date alle fiamme da un gruppo di fanatici musulmani. Nella primavera scorsa è giunta la condanna a morte, mentre nessun musulmano è stato ancora punito per la devastazione.