La Stampa, 5 novembre 2014
A decidere il prezzo del grano nel mondo sono quattro multinazionali: Adm, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus. Un potere immenso, al centro di teorie cospirative (a volte fondate) alimentate anche dall’aura di mistero che circonda le Grandi sorelle del trading agroalimentare
Negli ultimi due mesi, il prezzo del cacao è andato alle stelle. La colpa è ufficialmente di Ebola, che ha imposto la chiusura del confine della Costa d’Avorio (la terza produttrice al mondo, finora non colpita dal virus) con Liberia e Guinea, da dove provengono di solito molti lavoratori stagionali. Il costo della materia prima si sta già riverberando sul prezzo delle tavolette di cioccolato. Ma se è un disastro per i produttori e una noia per consumatori, per qualcuno – anzi, per pochissimi – potrebbe essere l’occasione di profitti inaspettati.
Bastano le dita di una mano, per elencare i grandi protagonisti del trading alimentare del mondo. Oppure una sigla: ABCD. Adm, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus controllano qualcosa come il 75% del commercio internazionale di grano. La più giovane, Adm, ha poco più di un secolo. Bunge, la più vecchia, fra quattro anni spegnerà due secoli di candeline. Nate e cresciute sulle fondamenta della globalizzazione, le quattro grandi trading house delle materie prime alimentari si sono diversificate in maniera tentacolare. Al giorno d’oggi, operano lungo tutta la filiera: sono proprietarie terriere e produttrici di carne; a monte forniscono le sementi ai contadini e a valle trasformano industrialmente le commodities; funzionano da banche, ma anche da case di spedizioni con la diretta proprietà di flotte navali, porti e magazzini, in decine di Paesi del mondo.
In queste circostanze, non fa meraviglia che le ABCD siano spesso oggetto di teorie cospirative. Beh, non solo teorie: il film «The Informant», con Matt Damon, racconta la vera storia di un illecito fixing dei prezzi da parte di Adm. Ma a contribuire all’aura di mistero che circonda le grandi trading house, c’è la cortina di segretezza che avvolge le restanti due. Cargill, la più grande di tutte, ha sede a Minnetonka, un paesino a ovest di Minneapolis, in un edificio ottocentesco affacciato sul lago. Quasi interamente controllata dall’omonima famiglia, è la prima società privata americana: la quotazione in Borsa comporterebbe obblighi di trasparenza altamente sgraditi. Lo stesso dicasi di Louis Dreyfus, nata in Alsazia e oggi di casa a Parigi, sotto il rigido controllo della famiglia del fondatore. Salvo svolgere le attività di trading in Olanda e in Svizzera, dove il fisco e la domanda di trasparenza sono più gentili. Se è per questo, anche Adm, Bunge e Cargill hanno sede in Illinois, New York e Minnesota, ma sono tutte e tre registrate nel Delaware, lo Stato americano che sempre quanto a fisco e trasparenza è il più «gentile» di tutti con le aziende.
È proprio la natura multinazionale delle grandi trading house a rendere il loro business così efficiente e così adatto ai film di spionaggio. Oltre alle flotte, dispongono di diplomazie e partecipano al carosello delle lobbies. Negli ultimi vent’anni si sono diversificate in proporzioni grandiose, ad esempio sul fronte dei biocarburanti. Ma soprattutto, con la capacità di spostare materie prime da un angolo all’altro del pianeta, e di stoccare le granaglie in attesa di momenti migliori, giocano da protagoniste sul grande mercato finanziario dei contratti futures. Ecco perché uno che «sa» come David Martin, manager di un hedge fund di New York, ha detto alla rete americana Pbs che i grandi trader stanno facendo un po’ di soldi in più con il prezzo del caffè, tirato su dall’effetto Ebola.
Del resto, mentre è ancora aperto il dibattito sul ruolo della finanza sulla crisi alimentare del 2006-2008 (quando in due anni il prezzo del grano aumentò del 136%, quello del riso del 217%, quello del mais del 125%), una cosa è sicura: Cargill ha registrato il suo record di utili proprio nell’esercizio 2008. Certo, è tutta una questione di dimensioni. «Dato che trattano grandissimi volumi, le trading house hanno un’enorme potere nel fare i prezzi – si legge in “Cereal Secret”, un report sulle ABCD commissionato da Oxfam – in particolare con i contadini con i quali hanno rapporti diretti, ma anche con gli intermediari» dei paesi industrializzati.
Va detto che non tutti i cereali passano le frontiere dei paesi produttori. Solo il 18% del grano e il 10% del mais vengono davvero scambiati sui mercati. Le ABCD, sconosciute al largo pubblico, controllano ben oltre la metà di questa fetta. Comprano e vendono per rifornire nomi assai più noti come Nestlé e Unilever, che poi impacchetteranno quegli alimenti in decine di marchi commerciali diversi.
Eppure in questo secolare (e segreto) dominio dell’agribusiness si intravedono segnali di cedimento. Le trading house, recita il rapporto di Oxfam, «stanno affrontando sensibili cambiamenti all’etica del libero mercato che ha permesso loro di consolidare così tanto potere negli ultimi vent’anni». Per cominciare, le nuove tecnologie hanno «democratizzato» l’accesso ai mercati, diminuendo il dominio di ABCD e amici sulle informazioni. Poi, nuove entità commerciali – dalla gigantesca catena di supermercati Walmart, ai colossi alimentari Nestlé e Unilever – hanno cominciato a rifornirsi anche in maniera diretta in tutto il mondo. E gli evidenti sommovimenti degli ultimi anni, dalla crisi dei prezzi del 2008 al cambiamento climatico che sta ridisegnando pericolosamente la geografia dell’agricoltura, lasciano intendere che i due secoli di dominio delle ABCD – cui sarebbe giusto aggiungere la più «giovane» Glencore, che oltre a metalli e combustibili da qualche anno si occupa anche trading agricolo – potrebbe essere messo in discussione negli anni a venire. E mentre il mondo dovrà trovare il modo di rendere ben più sostenibile la produzione alimentare da qui a metà secolo – quando si aggiungeranno altri due miliardi di bocche a tavola – siamo sicuro che le ABCD faranno di tutto per non perdere un millimetro di potere.
Negli ultimi cinque giorni il prezzo del cacao è calato un po’. Sappiamo per certo chi ci ha rimesso. Chissà chi ci ha guadagnato.