La Stampa, 4 novembre 2014
Kei Nishikori, il primo giapponese agli Atp World Tour Finals
Ci sono un croato, un serbo, uno scozzese, un canadese, un ceco, un giapponese e due svizzeri. È una barzelletta? No, sono le Atp World Tour Finals, meglio conosciute nel tennis sotto il nome di Masters, che iniziano lunedì prossimo a Londra e per la prima volta porteranno in scena un tennista asiatico, Kei Nishikori. Trattasi, se vogliamo, della chiusura di un cerchio geografico, di un simbolico giro del mondo visto che fu proprio Tokyo, la capitale del Giappone, a ospitare nel 1970 l’esordio del Masters. Nelle prime due edizioni il torneo di fine anno si giocò con una formula a gironi - sei partecipanti, nessuna finale - e a Tokyo fu Stan Smith (sì, proprio quello delle scarpe) a trionfare in un campo di partecipanti già etnicamente composito: due americani, Smith e Arthur Ashe; due europei, Jan Kodes e Zelijko Franulovic; e due australiani, Rod Laver e Ken Rosewall.
Nel 1974, quando ad alzare la coppa fu Guillermo Vilas, in campo scese mezzo mondo - americani del Sud e del Nord, australiani, europei e persino un neozelandese, Onni Parun; ma l’Asia finora era sempre rimasta esclusa dal Grande Gioco del Masters. Quest’anno, con la presenza di Nishikori e di un canadese (nato a Podgorica, in Montenegro, ma cresciuto a Toronto), il bombardiere Milos Raonic, è come se il tennis facesse stretching, si stiracchiasse, allargasse i propri confini: uno strappo verso Nord, uno slancio verso Est. Dove anche recentemente il Masters aveva fatto tappa – a Shanghai, nel 2002 e poi fra 2005 e 2008 – ma da dove in epoca moderna non erano mai arrivati talenti maschili capaci di sfondare il muro dei primi 8, e neppure dei primi 10. Il boom femminile della Cina, con l’epopea di Na Li, vincitrice di due Slam, e ora di Shuai Peng, n. 1 in doppio, e di «Coco» Xu Shi Lin, n. 1 fra le under 18, ha aperto le porte dell’Asia (non a caso il Masters femminile si è trasferito per 5 anni a Singapore). Kei Nishikori ha il compito di impedire che si richiudano. Del resto dietro la sua partecipazione spinge un mercato potenziale di 4 miliardi di persone e il suo successo a New York contro Djokovic in patria ha scatenato una autentica Kei-mania. «Nel mio primo match forse sarò nervoso – ha spiegato Nishikori, finito nello stesso girone di ferro di Federer, Murray e Raonic – ma cercherò di giocare il mio tennis e non pensare troppo che mi ritrovo al Masters».
L’esplosione di Raonic apre invece un passaggio a Nord-Ovest, visto che anche per il Canada sarà un debutto al Masters, dove brillerà l’assenza di Usa e Australia, i colossi tennistici del Novecento. L’ultima frontiera per il tennis resta l’Africa: non quella bianca dell’uomo di Johannesburg, Wayne Ferreira, ma quella nera e profonda, lontana anni luce dal circuito, anche se un tennista nero con sangue camerunense (ma nato in Francia), Yannick Noah, il Masters in effetti l’ha giocato quattro volte, e tre volte il «congolese» di Le Mans Jo-Wilfried Tsonga. Ma se vogliamo, insieme ad asiatici veri e canadesi acquisiti, un mezzo africano in campo alla O2 Arena ci sarà anche quest’anno: il signor Roger Federer, nato a Basilea ma sudafricano per merito di mamma Lynette. Il vero Maestro, in una classe molto cosmopolita.