Corriere della Sera, 4 novembre 2014
Elezioni di Midterm. Mentre i Repubblicani si preparano a conquistare il Senato Obama è pronto a governare a colpi di decreti per il resto della legislatura
L’America oggi al voto di Midterm: repubblicani galvanizzati, convinti di conquistare anche il Senato, oltre a consolidare la loro maggioranza alla Camera. Democratici sulla difensiva anche se, con Barack Obama sotto attacco, è il suo vice Joe Biden a suonare la carica nelle ore della vigilia: «Sono convinto che non perderemo il controllo del Senato». Come finirà dovremmo saperlo entro poche ore, ma non è detto che le cose vadano in questo modo.
Il controllo di quest’Aula (nella quale i repubblicani oggi hanno 47 senatori su 100) potrebbe giocarsi su un seggio o due. E in due casi — Louisiana e Georgia — è probabile che si vada al ballottaggio: le norme di questi due Stati prevedono, infatti, una nuova votazione (in un caso a dicembre, nell’altro addirittura a gennaio) se nessun candidato raggiunge il quorum del 50 per cento. In Kansas e South Dakota, poi, a spuntarla potrebbe essere un candidato indipendente che potrebbe anche non schierarsi con uno dei due partiti maggiori.
Qualunque sia l’esito delle elezioni, comunque, difficilmente verrà superato il «muro contro muro» che negli ultimi anni ha pressoché paralizzato l’attività legislativa. Le analisi sono, quindi, già proiettate sulle prossime mosse di un presidente che certamente non vuole ritrovarsi con le mani legate negli ultimi due anni del suo mandato alla Casa Bianca. Le voci che vengono dal team di Obama parlano di un leader amareggiato, convinto di non aver potuto governare efficacemente per i gravi malfunzionamenti di un sistema istituzionale che lui non ha avuto la forza politica di riformare. Amareggiato ma, comunque, deciso, dopo il voto e un lungo viaggio in Asia e in Australia per una serie di vertici internazionali, a lanciare una controffensiva: il presidente intenderebbe utilizzare i suoi poteri esecutivi per varare una raffica di interventi in materia di immigrazione (una sorta di sanatoria per una parte, almeno, dei lavoratori clandestini), di investimenti in infrastrutture pubbliche e di asili-nido: una misura sociale, quest’ultima, a favore delle famiglie meno abbienti, a cominciare da quelle con donne lavoratrici, che non possono pagarsi il kindergarten privato.
Non un’agenda particolarmente ambiziosa, come si vede, ma i repubblicani, che fin qui sono riusciti a bloccare qualunque mossa del presidente, già minacciano di trattarlo da golpista se proverà ad adottare misure di forte impatto senza passare dal Parlamento. Il team di Obama (un gruppo sempre più ristretto e compatto di assistenti e consiglieri, mentre continua l’emorragia dei collaboratori «storici» andati a fare altri mestieri o, come nel caso di John Podesta, in procinto di passare alla squadra elettorale che verrà costituita da Hillary Clinton per le Presidenziali del 2016), è, però, convinto che la legge lasci al presidente ampi poteri d’intervento nei campi scelti per il «blitz autunnale».
Molto dipenderà da come questi interventi verranno concepiti: se, ad esempio, la Casa Bianca varerà una vera sanatoria per i clandestini, anche se parziale, scatterà sicuramente l’accusa di abuso di potere. Una misura più limitata, come la rinuncia a deportare chi vive negli Usa da un certo numero di anni o ha studiato nel Paese, passerebbe per un altro pannicello caldo. L’altro vincolo di Obama è quello dei tempi: nella migliore delle ipotesi, il presidente avrà ancora margini di manovra politica per poco più di sei mesi, fino all’inizio dell’estate 2015. Da allora in poi sarà tutto concentrato sulla campagna per le Presidenziali 2016.