Il Sole 24 Ore, 4 novembre 2014
A Renzi manca solo una riforma elettorale che trasformi il suo 40% di voti in una maggioranza assoluta di seggi. Se ci riesce la sinistra radicale rischia di diventare del tutto irrilevante elettoralmente e politicamente
Tra Renzi e la sinistra sindacalista, dentro e fuori il suo partito, si sta giocando in questi giorni una partita molto importante. Non è la prima volta che un fatto del genere accade a sinistra. Per il Prodi del periodo 1996-1998, e di nuovo dieci anni dopo, è stato più o meno la stessa cosa. La sinistra radicale fa fatica ad accettare l’idea che per vincere occorra cambiare.
Meglio la difesa dell’identità che la conquista del governo. Si sa come è andata con Prodi e i suoi successori. L’Ulivo del 1996 vinse le elezioni grazie alla divisione del centro-destra e, dopo il divorzio a sinistra, riuscì a completare la legislatura grazie alle defezioni di pezzi dello schieramento di Berlusconi. L’Unione del 2006 vinse le elezioni per 25.000 voti alla Camera e grazie a Tremaglia al Senato. Ma di nuovo le divisioni al suo interno le impedirono di governare. A distanza di due anni dal voto Prodi fu costretto a gettare la spugna.
Sarà diverso questa volta? Tutto lascia presagire di sì. Ed è questo che spiega la virulenza dello scontro in atto tra Renzi e la sinistra sindacalista. La questione non è tanto l’art.18. La posta in gioco è la capacità della sinistra sindacalista di continuare a condizionare l’azione di governo esercitando a volte un potere di iniziativa e più spesso un potere di veto che per anni le ha consentito di essere uno degli attori decisivi del sistema. Non è scontato come vada a finire. Ma il quadro politico ed economico è molto cambiato rispetto al passato. Questa volta potremmo essere di fronte ad un esito diverso. La crisi economica non rafforza il sindacato. Né lo aiuta la politica di austerità dell’Unione. Anzi, per il sindacato di sinistra, compreso quello di Landini, l’Europa è un problema irrisolto. Da che parte sta rispetto a questa nuova linea di divisione della politica italiana e europea? Si sa da che parte stanno Grillo, la Lega e i loro omologhi europei. Ma in che cosa si differenzia la posizione della Cgil da quella di Renzi su questa questione cruciale?
Ma è la diversità del quadro politico a fare la vera differenza. Renzi non è Prodi. E il Pd di Renzi non è né l’Ulivo né l’Unione. Il premier non è interessato ad assemblare coalizioni di partiti e di interessi organizzati. Sono i voti il suo vero obiettivo, non gli accordi con elites politiche, sindacali o altro. E nell’Italia di oggi il Pd di Renzi può legittimamente aspirare a diventare un partito tendenzialmente maggioritario. Anzi, lo è già.
Lo hanno dimostrato le elezioni europee e lo confermano i sondaggi. Per quanto poco attendibile possa essere il singolo sondaggio, la media dei sondaggi dell’ultima settimana ci dà pur sempre una indicazione di tendenza che conferma come il partito di Renzi sia stabilmente intorno al 40% delle intenzioni di voto. Una percentuale straordinaria di questi tempi che si spiega solo con l’appeal che il premier ha in settori dell’elettorato che non hanno mai votato Pd o altre formazioni di centro-sinistra.
Due volte in tempi recenti la sinistra italiana ha perso l’occasione di allargare la sua base di consensi. Sia nel 1994 che nel 2013 c’erano milioni di voti disponibili. Milioni di elettori delusi che avevano abbandonato le vecchie appartenenze. Ebbene, in entrambe le occasioni la sinistra si è presentata a questo appuntamento storico con proposte vecchie che non hanno saputo cogliere la grande voglia di cambiamento dell’elettorato italiano. Ed è andata come è andata. Nel 1994 ha vinto Berlusconi. E nel 2013 ha vinto Grillo. Adesso è diverso. Renzi sta riuscendo nell’impresa di creare intorno al Pd un nuovo blocco elettorale maggioritario. E non saranno la Cgil e la sinistra del suo partito a fermarlo. Anzi, lo scontro a sinistra lo aiuta a conquistare nuovi consensi tra quegli elettori moderati, e sono tanti, che non hanno nessuna simpatia per il sindacato.
Solo una cosa manca a Renzi per completare il suo disegno strategico: una riforma elettorale che trasformi il suo 40% di voti in una maggioranza assoluta di seggi. Ma come riuscirà ad arrivarci è ancora tutto da vedere. Con una riforma del genere, calata in un contesto con gli attuali rapporti di forza tra i partiti, la sinistra radicale rischia di diventare del tutto irrilevante elettoralmente e politicamente. Questa è la vera posta in gioco.