Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 04 Martedì calendario

L’addio di Brittany prima di morire: «Il mio obiettivo, ovviamente, è di influenzare la politica affinché approvi il cambiamento consapevole». La ragazza, malata di tumore, ha potuto uccidersi «con dignità» grazie all’aiuto dei medici dell’Oregon, uno dei cinque stati americani che riconoscono il diritto all’eutanasia. Intanto in Italia negli ultimi tre anni in 50 hanno chiesto l’aiuto dei medici svizzeri. Oggi in 27 aspettano la scelta di fine vita

La Stampa,

Brittany Maynard è morta, come programmato, sabato sera. Oltre al suo dramma, in eredità lascia un dibattito sull’eutanasia che negli Usa è tornato a dividere la gente.
Brittany ha preso i farmaci letali nel letto della sua nuova casa di Portland, circondata dal marito Dan Diaz, la madre Debbie Ziegler, e il patrigno Gary Holmes, per evitare le sofferenze del cancro al cervello che l’aveva comunque condannata. Su Facebook, ha lasciato quest’ultimo messaggio: «Addio a tutti i miei cari amici e alla mia famiglia, che amo. Oggi è il giorno che ho scelto per morire con dignità, davanti alla mia malattia terminale, questo terribile cancro che ha portato via così tanto da me, ma che avrebbe preso ancora di più. Il mondo è un bel posto, il viaggio è stato il mio maestro più grande, i miei amici più stretti sono le persone più generose e altruiste. Ho anche un cerchio di supporto intorno al mio letto, mentre scrivo... Addio mondo. Spargete buona energia. Siate generosi, pagate in anticipo per restituire ad altri il bene che ricevete».
Brittany, 29 anni, aveva saputo di essere malata a gennaio. I medici le avevano dato sei mesi di vita, e lei aveva scelto di evitare le cure che avrebbero rovinato la fine della sua esistenza, senza darle una vera speranza di guarire. Si era trasferita in Oregon con la sua famiglia per approfittare del Death With Dignity Act, la legge che in quello Stato consente il suicidio assistito. Aveva ricevuto da un medico la ricetta per acquistare i farmaci letali, annunciando che li avrebbe presi il primo novembre, dopo il compleanno del marito. Quindi ha passato i suoi ultimi mesi di vita viaggiando, salutando gli amici, persino impacchettando i regali di Natale per i suoi famigliari.
Ha scelto di diventare portavoce del gruppo Compassion & Choices, per favorire la legalizzazione dell’eutanasia negli Usa. Al momento il suicidio assistito è consentito in cinque Stati, Oregon, Vermont, Washington, Montana e New Mexico, ma in altri sette sono state presentate leggi per autorizzarlo. Brittany si era concentrata sulla California, la sua regione, mandando messaggi ai parlamentari locali affinché approvassero la pratica.
Secondo un sondaggio del New England Journal of Medicine, il 67% dei medici è contrario. La popolazione Usa è più divisa, perché un rilevamento del Pew Center ha stabilito che il 49% è contro e il 47% a favore. Secondo la Gallup, i sostenitori dell’eutanasia variano dal 70 al 51%, in base a come si pone la domanda.
Le organizzazioni religiose in genere sono contrarie, perché ritengono che solo Dio possa dare e togliere la vita. Ma i critici rispondono che se Dio ha dato all’uomo il libero arbitrio, ciò deve includere la scelta su come morire. Ira Byock, direttore dell’Insitute for Human Caring, ha avvertito sul «New York Times» che il suicidio assistito crea un terreno scivoloso, su cui la pratica può essere facilmente abusata. Art Caplan, esperto di etica medica alla New York University, ha scritto che il dramma di Brittany ha cambiato il dibattito, perché ha coinvolto generazioni giovani finora distratte, che però hanno già cambiato la posizione degli Usa su altre questioni etiche come il matrimonio fra i gay. Dunque Brittany è morta, ma il dibattito è appena ripreso.

Paolo Mastrolilli

***
La Stampa,

Chiamatela scelta di fine vita, eutanasia legale, o anche suicidio assistito o dolce morte. In Italia semplicemente non esiste. Non esiste nelle aule parlamentari, né in alcun tipo di documento, luogo o situazione ufficiale.
Esiste, però, eccome. Secondo l’Istat ogni anno un migliaio di italiani vorrebbero scegliere di morire quando credono. E secondo il Rapporto Italia dell’Eurispes il 64,6% degli italiani si dichiara favorevoli all’eutanasia e il 77,3% si dichiara favorevole al testamento biologico.
Gli italiani hanno le idee chiare. In 50 negli ultimi tre anni sono riusciti ad andare in Svizzera e chiudere senza troppi clamori e con dignità la propria vita. In attesa ci sono altri 27 italiani, di cui 11 giovani sotto i 30 anni affetti da malattie psichiche molto gravi certificate da medici psichiatri, come spiega Emilio Coveri, presidente di Exit Italia all’Adnkronos.
E tutti gli altri? Si arrangiano come possono e, trattandosi di voler porre fine alla propria vita, farlo arrangiandosi è davvero orribile.
In sette mesi, da marzo ad ottobre, «più di 500 malati, non potendo ottenere l’eutanasia, si sono suicidati ed almeno altrettanti hanno tentato di farlo, mentre più di diecimila malati terminali, nei reparti di rianimazione, sono morti con l’aiuto attivo di medici pietosi e coraggiosi, che rischiano fino a 14 anni di carcere per aiuto al suicidio», spiega Carlo Troilo dell’associazione Luca Coscioni.
Alcuni di questi suicidi diventano fatti di cronaca e accendono anche un minimo dibattito, ma soltanto quando a compiere gesti così estremi sono grandi artisti ed intellettuali come è accaduto con i suicidi di Mario Monicelli, Carlo Lizzani e Franco Lucentini.
Tutti gli altri rimangono avvolti nel silenzio più totale spesso aiutato dalla complicità tra famiglie e medici.
Volendo esprimere sotto forma di classifica questo dramma, si può ricordare che l’Italia è al 26mo posto su 36 Paesi per quel che riguarda i diritti di fine vita secondo il World Congress for Freedom of Research.
E la politica per il momento resta a guardare. Ci sono stati due richiami del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Camera e Senato chiedendo di affrontare il tema. Ma si contano sulle dita di due mani i politici che hanno provato a fare qualcosa. Sono state presentate tre proposte di legge per la legalizzazione dell’eutanasia e una legge di iniziativa popolare. Le tre proposte sono state presentate a partire dall’ottobre scorso alla Camera da Titti di Salvo di Sel, e al Senato da Luigi Manconi del Pd e Francesco Palermo del gruppo delle Autonomie. La legge di iniziativa popolare, invece, è stata promossa dall’associazione Luca Coscioni.
Tutto qui. Iniziative e proposte sono state depositate e messe da parte, come denuncia Matteo Mainardi, coordinatore della campagna Eutanasia Legale. L’associazione Luca Coscioni ha scritto una lettera alla presidente della Camera Laura Boldrini per chiederle di mantenere le promesse e di prevedere delle date per la discussione della legge di iniziativa popolare. «La speranza a questo punto è che almeno il regolamento venga modificato e si decida di porre una scadenza temporale alla discussione delle leggi di iniziativa popolare». Per evitare che le richieste di una larga fetta di italiani finiscano nel nulla.
Flavia Amabile

***

la Repubblica,

Se il 2 novembre sarò morta, la mia speranza è che la mia famiglia sia ancora fiera di me e delle scelte che ho fatto. Ma se il 2 di novembre io fossi ancora viva, già so che continueremo ad andare avanti come una famiglia grazie all’amore che ci lega. In quel caso, la decisione verrà posticipata.Certa gente mi critica perché non aspetto più a lungo; altri hanno deciso per conto loro cos’è meglio per me. Tutto questo mi addolora perché sono io quella che rischia: rischio ogni singolo giorno, ogni volta che mi sveglio al mattino. Lo faccio perché mi sento ancora abbastanza bene, perché riesco ancora a gioire, perché rido e scherzo con gli amici e la famiglia, e perciò non sembra ancora il momento giusto. Però, so che quel momento arriverà, infatti sento che sto peggiorando, di settimana in settimana. Esco ancora a passeggiare con mio marito, con la mia famiglia, con i cani, e sono proprio queste le cose che ultimamente mi fanno sentire meglio. Ma dal primo di gennaio, quando è stata fatta la diagnosi, le cose non fanno che peggiorare. È così che procedono le malattie terminali: si peggiora sempre di più.Allora cosa fai? Cominci a eliminare tutte le cose materiali, le sciocchezze a cui sembriamo essere così attaccati nella nostra società, e ti rendi conto che sono quelli i momenti che contano.La cosa peggiore che può capitarmi è di prolungare l’attesa troppo a lungo: nonostante io sia pronta alla sfida, ogni singola giornata, la malattia mi priva sempre più della mia autonomia: è la natura del mio tumore.Se vogliamo parlare degli aspetti più terrificanti... Ad esempio, ho avuto una brutta serie di crisi, circa una settimana fa. Me ne sono capitate due al giorno, un fatto insolito. A un certo punto stavo guardando il viso di mio marito e pensavo: è mio marito, lo so, ma non riesco più a pronunciare il suo nome. Per colpa di quella crisi sono andata in ospedale.Svegliarsi ogni giorno nel mio corpo è una sensazione strana, perché è così diverso da com’era appena un anno fa. Tanto per chiarire, negli ultimi tre mesi sono ingrassata di oltre dieci chili, solo per i farmaci che ho inghiottito.Non mi piace essere fotografata, non mi piace essere filmata e non mi piace starmene troppo tempo davanti allo specchio. Non è che io provi odio e ripugnanza verso me stessa: è solo che il mio corpo è cambiato tanto rapidamente, che quasi non mi riconosco. È una faccenda intima.Penso che a volte la gente mi guardi e pensi: non hai l’aria della malata, come dici di essere. Anche questo mi addolora, perché se ho una crisi e poi non riesco a parlare, è ovvio che io senta tutto il peso della mia malattia.Se tutti i miei sogni potessero avverarsi, sopravvivrei, ma è molto improbabile che ciò avvenga; perciò, quando penso a mia madre e al fatto che io sia figlia unica, voglio che lei si riprenda, che non crolli, che non soffra di depressione. Quanto a mio marito, è un uomo meraviglioso. È naturale che tutti debbano poter piangere un lutto, ma voglio che lui sia felice, che abbia una famiglia, che non passi la vita a piangere sua moglie. Insomma, spero che continui la sua vita, che diventi un padre.Il mio obiettivo, ovviamente, è di influenzare la politica affinché approvi il cambiamento consapevole. Vorrei che tutti i cittadini americani avessero accesso agli stessi diritti legati alla salute. Ma al di là della politica, i miei obiettivi sono piuttosto semplici: si riducono alla mia famiglia e ai miei amici. Voglio assicurarmi che sappiano quanto sono importanti per me e quanto li amo.
Traduzione Luisa Piussi