Il Giornale, 3 novembre 2014
La storia del bimbo di Belluno strappato dalle braccia della mamma per finire in mezzo alla guerra Santa in Siria col papà. Un militante dell’Isis morto in combattimento, che l’ha affidato ai suoi commilitoni. Ora i Ros lo cercano
Un bambino di tre anni, nato a Belluno e strappato dalle braccia della madre da Ismar Mesinovic, l’imbianchino di Longarone che si è arruolato nel Califfato morendo in combattimento in Siria all’inizio di gennaio. Il padre jihadista ha portato con sé il piccolo Ismail Davud nel folle percorso verso la guerra santa. Dopo la sua morte nei dintorni di Aleppo è stato affidato a due bosniache, mogli di mujaheddin dello Stato islamico, che hanno il compito di tirarlo su con il Corano e il moschetto. Molti seguaci del Califfo partono per la Siria e l’Irak portandosi appresso i figli, solitamente più grandi, attorno ai dieci anni. Per la prima volta un minore, così piccolo e nato in Italia ha seguito la stessa sorte, che lo porterà a diventare un soldato bambino della guerra santa.
La madre cubana, Lidia Solano Herrera, che vive ancora nel bellunese, lo vuole disperatamente indietro. Alla notizia della morte del marito armi in pugno ha presentato una denuncia di scomparsa del figlio. Il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri di Padova, sotto il comando del tenente colonnello Paolo Storoni, sta facendo di tutto per trovare il piccolo Davud. Il bambino si trova in Siria oppure in una zona di frontiera con la Turchia. Le informazioni raccolte indicano che sia diventato un figlio della jihad accudito da due bosniache, che hanno seguito i loro uomini nella lotta contro il regime di Assad. Il padre ucciso, Mesinovic, si era arruolato con un gruppo legato ai tagliatole dello Stato islamico. Assieme a lui è partito per la Siria dal bellunese, il macedone di 27 anni, Munafir Karamaleski, che continua a combattere per il Califfato.
Una foto in possesso del Giornale ritrae assieme i due mujaheddin, pochi mesi prima della partenza dall’Italia. Mesinovic ha in braccio il figlio che porterà con lui in Bosnia. Accanto al macedone della guerra santa è immortalato Pierangelo Abdessalam Pierobon, un giovane convertito italiano di Longarone. Il 30 ottobre il suo appartamento è stato perquisito assieme a quelli di altri musulmani balcanici del Nord Est dai carabinieri di Padova. Mesinovic, durante la sua deriva integralista portava il figlio piccolo in moschea e lo svegliava all’alba per pregare. La moglie si era convertita all’islam per cercare di salvare il matrimonio, ma il rapporto si è incrinato con l’accentuarsi dell’estremismo del marito. Ad arruolare i due balcanici residenti in Italia ci ha pensato l’imam Bilal Bosnic arrestato due mesi fa in Bosnia. I Ros di Padova indagano su di lui e altri predicatori itineranti dell’ex Jugoslavia, che continuano a passare per l’Italia dove avrebbero reclutato combattenti per lo Stato islamico nel Nord Est in Emilia Romagna e Lombardia.
Mesinovic e Karamaleski sono partiti per Aleppo a metà dicembre 2013 e il primo si è portato con sé il figlio. Nelle ricerche di Davud sono coinvolte anche le autorità bosniache e turche. Edvin Kopic, un cugino di Mesinovic, che vive in Germania, in un breve messaggio su Facebook ha garantito: «Sappiamo dov’è il bambino e che sta bene».
Dal centro di preghiera islamico di Belluno hanno fornito alla madre una specie di certificato di «brava musulmana». L’obiettivo è contattare la famiglia jihadista «adottiva» per convincerli a restituire il piccolo, ma per ora tutti i tentativi sono andati a vuoto. Il 4 settembre il bambino nato a Belluno ha compiuto tre anni. Se non si riuscirà a riportarlo a casa il suo destino è segnato, come figlio della Jihad.