Corriere della Sera, 3 novembre 2014
In Iran una ragazza è stata condannata a un anno di carcere solo perché voleva vedere una partita di volley maschile. Si chiama Ghoncheh Ghavami, ha venticinque anni, è anglo-iraniana, ora è nella prigione di massima sicurezza di Teheran e l’appello per liberarla ha raccolto già 700 mila firme
«Un anno di carcere per una partita di pallavolo» si legge sulla pagina Facebook che chiede la liberazione di Ghoncheh Ghavami, venticinquenne con cittadinanza britannica e iraniana arrestata quattro mesi fa a Teheran e appena condannata a trascorrerne altri 12 nel carcere di Evin. L’annuncio, di ieri, ha scatenato condanne e appelli: la famiglia ha lanciato una campagna sui social media, con l’aiuto delle organizzazioni per i diritti umani. Una petizione ha superato le 700 mila firme.
«Propaganda contro lo Stato» è l’accusa contro Ghavami, anche se non è chiaro il reato commesso. Il 20 giugno la laureata della Soas (la scuola di studi orientali e africani dell’Università di Londra), che si trovava a Teheran «per lavorare per un’organizzazione che aiuta i bambini di strada» (dice il fratello Iman), era stata fermata dalla polizia con altre donne mentre cercava di assistere a una partita di pallavolo maschile (Iran-Italia) allo stadio. Il governo ha proibito alle donne l’ingresso agli stadi di calcio dal 1979 e più di recente anche alle partite di pallavolo «per proteggerle dai fan uomini». Ghavami era stata rilasciata su cauzione, ma dieci giorni dopo, tornata al commissariato per ritirare alcuni oggetti personali, è stata arrestata di nuovo. Amnesty la definisce una «prigioniera di coscienza» e chiede all’Iran di «abolire le leggi che discriminano le donne, anziché punire chi protesta contro di esse». I funzionari spiegano la detenzione con «ragioni di sicurezza» slegate dalla partita di pallavolo, ma il processo è stato condotto a porte chiuse senza che la famiglia — che vive a Londra ma si è precipitata a Teheran — potesse assistervi. «Corrono da un ufficio all’altro cercando di ottenere clemenza o il rilascio su cauzione», racconta il fratello. Avrebbe passato 41 (su 127 giorni) in isolamento e 14 in sciopero della fame. Agli appelli del premier britannico David Cameron, il presidente Rouhani ha risposto che il potere giudiziario è indipendente. Mentre la comunità internazionale è impegnata in questi giorni a discutere il programma nucleare iraniano, il caso attira nuovamente l’attenzione sui diritti umani nella Repubblica Islamica — dopo la recente esecuzione di Reyhaneh Jabbari per l’omicidio di un uomo che accusava di tentato stupro e dopo il fermo di giornalisti che hanno documentato le proteste per gli attacchi con l’acido contro donne «malvelate» di Isfahan. Venerdì l’Iran si è sottoposto, come fanno periodicamente tutti gli stati membri, ad un esame davanti al Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Alle critiche, il rappresentante iraniano Mohammad Javad Larijani ha ribattuto che l’Occidente tenta di «imporre il proprio stile di vita con il pretesto dei diritti umani».