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 2014  novembre 03 Lunedì calendario

Ilaria Cucchi si rivolge ai pm: «Rifate le perizie, diranno che le botte a Stefano furono letali. Noi non vogliamo un colpevole a tutti i costi. Vogliamo il o i colpevoli e vogliamo la verità su quello che è successo a mio fratello»

«Massimo rispetto per i giudici, credo che abbiano fatto il possibile... Ma io critico la Procura, il modo con il quale sono state condotte le indagini. Sono state fatte male. Nasce tutto da lì...».
Ilaria Cucchi è un misto di rabbia e di dolore. Il giorno in cui il procuratore Giuseppe Pignatone annuncia di essere pronto a riaprire l’inchiesta nel caso in cui ci siano elementi nuovi, la sorella di Stefano fa sapere che andrà al Palazzo di giustizia con la madre e il padre proprio per incontrarlo. E per chiedergli «quella giustizia che sinora ci è stata negata: noi non vogliamo un colpevole a tutti i costi. Vogliamo il o i colpevoli e vogliamo la verità su quello che è successo a mio fratello».
Da dove bisogna ricominciare secondo lei?
«Dalle perizie e dalle consulenze, debbono essere azzerate: hanno fatto solo nebbia e fumo su quello che è accaduto. Ma non solo da quelle...».
Da dove?
«Per esempio da ciò che è accaduto subito dopo l’arresto. Mio fratello era perfettamente sano, era appena uscito dalla palestra: abbiamo anche il badge con l’orario. E poi...».
Poi?
«Poi l’ho rivisto sul lettino dell’obitorio, ridotto in quelle condizioni.. Uno strazio, un dolore che mai avrei pensato di riprovare...».
E invece?
«Invece in questi anni ho dovuto assistere al processo a mio fratello, alla sua vita, alla sua famiglia. A come stava, a cosa faceva. Addirittura in aula c’è stato chi ha chiesto come era il rapporto di Stefano con la sua cagnetta. Ma si rende conto?».
La «condanna» della vittima e non di chi lo ha pestato?
«Esatto, è proprio così. Un’umiliazione continua, un dolore perenne. Sa come li chiamo io? I processi al morto... Le sembra giusto?».
Le sentenze hanno stabilito senza ombra di dubbio che suo fratello è stato picchiato. Ma non dove, né da chi.
«È entrato vivo in una caserma dei carabinieri, è uscito morto dall’ospedale. All’interno delle maglie dello Stato qualcosa non ha funzionato, ma nessuno ne sta rispondendo».
Istituzioni che tendono ad auto-tutelarsi, questo sta dicendo?
«È così. Ma non lo accetto, non lo accettiamo. Io sono una cittadina che paga le tasse, che rispetta le regole. Lo Stato deve a me, alla mia famiglia, al rispetto per la memoria di Stefano la verità per quello che è accaduto».
Lei ritiene che suo fratello sia morto per le percosse?
«Assolutamente sì».
Eppure finora è stato escluso che ci sia un nesso di causalità tra i colpi ricevuti e il decesso.
«Secondo me è il contrario. E la sa una cosa: ho partecipato alle riunioni di consulenti e periti. Ho sentito dire da qualche “esperto” che le fratture sul suo corpo potessero essere “ post mortem ”. Addirittura, che fossero “da bara”. Ma si rende conto cosa abbiamo dovuto sopportare io e la mia famiglia?».