La Stampa, 3 novembre 2014
La Terra non è mai stata così calda da 800 mila anni. Parola dell’Onu. E questo vuol dire abbandonare petrolio, carbone e gas nel sottosuolo, e progettare sistemi di riscaldamento che non usino combustibili fossili. Per salvare le generazioni future
Resta poco tempo per salvare la Terra. Non è mai stata così calda da 800 mila anni a questa parte e, se entro la fine del secolo le emissioni di gas serra non saranno ridotte a zero, non ci saranno più speranze. Questo vuol dire cominciare fin da subito a lasciare petrolio, carbone e gas nel sottosuolo, a progettare motori e sistemi di riscaldamento che non usino combustibili fossili, a cambiare il nostro modo di vivere per salvare noi stessi e le generazioni future.
Il gruppo intergovernativo Ipcc che studia dal 1988 i mutamenti climatici ci aveva già abituati a rapporti apocalittici, ma il quinto e conclusivo documento, consegnato ieri a Copenaghen alle Nazioni Unite, è ultimativo. Il riscaldamento globale è colpa dell’uomo per il 95% degli scienziati che lo hanno studiato. Non c’è più tempo da perdere: se non si agisce subito, le conseguenze saranno devastanti per la nostra civiltà e annulleranno gli sforzi fatti finora per combattere fame e povertà. Si diffonderanno nuove malattie, molte aree costiere saranno sommerse, numerose specie di animali si estingueranno, i campi diventeranno aridi, le foreste spariranno, si lotterà per il cibo, ci saranno migrazioni di massa e guerre per la sopravvivenza.
Il rapporto propone di ridurre del 40-70% le emissioni di gas serra tra il 2010 e il 2050, unica condizione per evitare di superare la soglia dell’aumento di 2 gradi centigradi rispetto all’era industriale, considerata il confine oltre il quale non si potrà più tornare indietro. Dal 1880, l’aumento è stato di 0,85 gradi. «La Scienza ha parlato – ha detto il segretario dell’Onu Ban Ki-moon – e non c’è ambiguità nel messaggio. Possiamo costruire un futuro migliore, ma dobbiamo agire rapidamente e in modo decisivo».
John Kerry, Segretario di Stato americano, è preoccupato dalla possibilità che anche questa volta gli scettici prevalgano: «Chi contesta questi dati – ha commentato – mette in pericolo anche i nostri figli e nipoti». Ma sarà difficile mettere d’accordo tutti nella prossima conferenza di Lima e nel vertice mondiale che si terrà a Parigi nel 2015. Proprio gli Stati Uniti di Kerry stanno diventando il primo produttore mondiale di combustibili fossili, grazie alle nuove tecniche di estrazione di «shale gas», che hanno fatto precipitare il prezzo del petrolio. Le compagnie petrolifere investono 600 miliardi di dollari all’anno per trovare nuovi giacimenti e altri 600 miliardi sono spesi dai governi per lo stesso scopo. Solo 400 miliardi vengono invece destinati globalmente a ridurre le emissioni a effetto serra, una cifra uguale ai profitti annuali della Exxon Mobil.
L’Onu dovrebbe riuscire a imporre ai paesi una riduzione pari a un triliardo di tonnellate di Co2 entro il 2050, un’impresa disperata. Già nello stilare il rapporto finale si è litigato, tra paesi ricchi e poveri, dissertando perfino su quante volte dovesse essere usata la parola “pericoloso” (quasi mai) e la parola “rischio” (circa 60 volte).
I Paesi in via di sviluppo non ne vogliono sapere di essere costretti a riduzioni pari a quelle dei paesi occidentali, che hanno cominciato prima a emettere gas serra e hanno responsabilità storiche delle quali bisogna tenere conto. Molti osservatori pensano che finirà con un appello agli stati che non sarà ascoltato: ognuno agirà per conto suo. E tra qualche anno, ha profetizzato Michael Oppenheimer, un professore di Princeton che ha stilato l’ultimo rapporto, «il benessere e la sopravvivenza di ogni abitante della Terra non saranno più controllabili, e dipenderanno solo da una nuova variabile: la fortuna».