la Repubblica, 3 novembre 2014
Dalla Ducati alla Electrolux, dalla Ferrari alla Luxottica: ecco i patti aziendali che anche la Cgil firma. Si tratta di intese locali tra imprese e sindacati che prevedono buoni spesa, polizze e lavoro domenicale, riduzione di orario e ore libere per i figli
È un Giano bifronte il sindacato italiano. Politico, conservatore, diviso, finanche ideologico al centro romano; flessibile, pragmatico, unito e innovativo negli uffici e nelle fabbriche sparse lungo la penisola. Finita – da tempo – la concertazione, i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil con i loro 12 milioni di iscritti, quasi metà dei quali pensionati, stanno cambiando pelle in silenzio, lontano dai riflettori.
Anche per questo il tesseramento regge nonostante la profondità e la lunghezza della crisi economica e nonostante la sempre più scarsa fiducia di cui godono le stesse organizzazioni sindacali presso l’intera opinione pubblica (dove il lavoro dipendente è solo una parte) come dimostra da ultimo il sondaggio di Demos pubblicato ieri su questo giornale.
A Roma, nei centri confederali sono i sessantenni al vertice; nelle periferie, le Camere del lavoro cittadine e, in molti casi anche le categorie, sono guidate invece da trentenni, donne e uomini. Nei territori si è imparato a fare i conti con la globalizzazione, con la logica competitiva tra fabbriche delle medesime multinazionali, con lo spostamento della domanda di molti prodotti dalla Vecchia Europa ai Paesi cosiddetti emergenti, dell’Asia e presto anche dell’Africa. Ci si adegua, salvando l’occupazione, e spesso migliorando le condizioni di lavoro e le retribuzioni. La crisi diventa, allora, un’opportunità per cambiare.
DUCATI, DOMENICA AL LAVORO
Prendiamo il caso della Ducati. Da ottobre nello stabilimento di Borgo Panigale, dove escono i pezzi delle moto da assemblare, si lavora anche la domenica. Non avrebbe voluto la Chiesa locale, non avrebbe voluto nemmeno la Fiom. I lavoratori però hanno detto sì a lavorare con turni di tre giorni e pausa di due, sabato e domenica compresi (schema “tre-due”). Così è arrivato l’accordo. Al lavoro 30 ore a settimane pagati come se se ne lavorassero 40. Che, in media, per i 66 operai coinvolti, vuol dire un incremento retributivo annuale tra i 2.500 e i 2.700 euro lordi. I tedeschi del gruppo Audi-Volkswagen, che controlla la Ducati, hanno preso l’impegno di investire 11,5 milioni di euro nel prossimo quinquennio e ad assumere. La domanda in Asia e in Brasile continua a tirare e a Borgo Panigale c’è una manodopera eccellente. Operazione “win-win”, dunque.
ORARIO FLESSIBILE CONTRO LA DELOCALIZZAZIONE
Non hanno perso nemmeno alla I.H.I di Cernusco Lombardone (Lecco), dove si sviluppano e si producono turbocompressori per clienti come Fiat, Ferrari, Audi, Toyota. In piena crisi (2009) l’allora casa madre tedesca (oggi è in mano ai giapponesi) aveva denunciato che il costo del lavoro italiano era superiore di tre euro per dipendente rispetto a quello sostenuto nel sito “gemello” in Germania, grazie soprattutto agli sgravi fiscali previsti per l’ex Ddr. Bene, con un accordo sindacale si è bloccato il ricorso agli straordinari (costosi), si è istituita una banca ore dove si versano le ore in più che poi si recuperano. Insomma si è introdotto un complicato modulo di orari che ha permesso all’azienda di ridurre significativamente il costo del lavoro, di passare da una produzione di 3.900 turbo giornalieri a circa 8.000, di aprire un nuovo sito produttivo a Verderio (sempre in provincia di Lecco), e di aumentare i posti di lavoro da 361 a circa 500.
Anche gli svedesi dell’Electrolux sono rimasti in Italia e non sono andati in Polonia. Per ridurre il costo del lavoro si è fatto un accordo per il ricorso ai contratti di solidarietà. Poi si sono ridotte di cinque minuti le pause aggiuntive. Infine sono stati tagliati di circa il 60 per cento i permessi sindacali, pari a 20 mila ore. Alla fine il costo del lavoro è sceso di tre euro l’ora e in Italia si continuano a fabbricare lavastoviglie, frigoriferi, forni e piani cottura.
I PREMI NON SONO TUTTI UGUALI
La cultura dell’egualitarismo ha finito spesso per schiacciare le retribuzioni verso il basso. Nella vastissima contrattazione aziendale, invece, sono sempre più frequenti le differenziazioni. Alla Manifatture Sigaro Toscano, per esempio, è previsto un indice del premio di risultato legato alle performance di stabilimento e dello stesso reparto. Previsto anche un premio forfettario aggiuntivo di 500 euro lordi destinato alle lavoratrici in maternità. Niente premio, invece, alla Delta (azienda delle Marche che fabbrica fondi in gomma e in poliuretano) a chi, per un determinato periodo, arriva in ritardo al lavoro per oltre il 15 per cento delle timbrature, oppure subisce per quattro volte la contestazione al divieto di fumo. Alla DeWalt di Perugia (azienda controllata dalla multinazionale Black and Decker) c’è anche un “premio anzianità” che cresce con il crescere dell’anzianità di servizio. Obiettivo, in netta controtendenza con la precarietà dei lavori, la fidelizzazione dei lavoratori. Alla Lindt, multinazionale del dolciario, invece, il premio scende con il crescere delle assenze, ma ci sono permessi e ferie per i lavoratori che intendono raggiungere i parenti di primo grado extracomunitari.
IL SECONDO WELFARE
Non si contrattano solo soldi, orari o premi di risultato nelle aziende. Da tempo un pezzo della negoziazione, soprattutto nei grandi gruppi, riguarda il welfare aziendale. Certo, in diverse situazioni c’è anche una dose di paternalismo, ma in ogni caso i sindacati hanno contribuito ad aumentare i benefits dei lavoratori. Ormai esiste un “modello Luxottica” che va dalla shopping card al rimborso della spesa per i libri di testo per i figli fino alla polizza sanitaria. Alla Ferrari è previsto pure il biglietto per il cinema. Asili nido alla Nestlé, alla Bnl e a Intesa, solo per indicare alcune aziende. L’integrativo della Heineken (900 dipendenti in quattro stabilimenti) stabilisce una maggiore flessibilità di orario in entrata e in uscita per chi ha figli fino ai tre anni.