Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 03 Lunedì calendario

«Un danno molto grave. È un passo falso non è degno di un Paese evoluto. Il ministro dell’Istruzione dovrebbe lasciar fare a quello della Salute. In Italia abbiamo un numero troppo basso di specialisti rispetto agli altri paesi e alle esigenze del territorio». Così Umberto Veronesi sull’annullamento delle prove d’accesso alle scuole di specializzazione in medicina

 «Dall’annullamento delle prove d’accesso deriva un danno molto grave. E’ un passo falso non è degno di un Paese evoluto». Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia ed ex ministro della Sanità, propone di voltare radicalmente pagina. «E’ giusto che ad occuparsi del test di ingresso alle specializzazioni di medicina non sia più il ministero dell’Istruzione, università, ricerca e che la competenza passi al dicastero della Salute». Tredici lauree honoris causa nelle università di tutto il mondo e pioniere della lotta ai tumori, Veronesi è l’ideatore della quadrantectomia, la tecnica contro il cancro al seno che ha permesso a milioni di pazienti di evitare l’asportazione totale della mammella. «Mancano borse di studio, oggi gli specializzati sono pochi e negli ospedali mancano gli anestesisti», denuncia.
Professore, com’è possibile un errore del genere?
«La confusione è nata da un errore informatico. C’è stato un inammissibile sbaglio nell’organizzazione dei test. Adesso serve un cambiamento complessivo, di sistema. E’ opportuno che ad esaminare gli aspiranti specializzandi sia il ministero della Salute: è ben equipaggiato per farlo e può contare su ottime direzioni generali degli ospedali e sull’Istituto superiore di Sanità. Chi affronta queste prove d’accesso è già medico. Si tratta di competenze specifiche, di grado elevato».
Il sistema delle specializzazioni va rivisto?
«Sì. Si è dimostrato che, così com’è adesso, non funziona. In Italia abbiamo un numero di specializzati troppo basso rispetto agli altri Paesi e alle esigenze del territorio. Anni fa in maniera populistica si è smesso di far lavorare e studiare i laureati senza stipendio. Perciò sono diventate le borse di studio l’unico ingresso nel servizio sanitario nazionale». 
E all’estero come funziona?
«Negli Usa, in Gran Bretagna e in molte altre nazioni la specializzazione costituisce un titolo professionale individuale che permette di lavorare negli ospedali e di aprire uno studio. Da noi, invece, è unicamente lo Stato, attraverso le strettoie delle borse di studio, a consentire ai medici di specializzarsi”.
Con quali effetti?
«Oggi che i soldi pubblici a disposizione scarseggiano, le borse di studio sono inadeguate alle necessità della nostra sanità. Abbiamo molti medici ma un numero insufficiente di specialisti. Le ripercussioni sono pesanti: non si trovano anestesisti. Va aumentato il numero delle borse di studio, ripensando il meccanismo». 
Ma se i fondi non bastano?
«Si può pensare a formule nuove, anche ricorrendo a finanziamenti privati. Molti candidati, pochi posti. Prepararsi ai test è molto impegnativo. Annullare le prove comporta un danno enorme per chi aspira a specializzarsi e per il Paese nel suo complesso. Non possono verificarsi errori del genere. Gli specializzati sono una risorsa per il sistema Paese. È ingiusto e controproducente trattarli in questo modo. Occorre rendere più efficiente e moderno l’intero sistema».
[GIA.GAL.]