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 2014  novembre 02 Domenica calendario

Indignazione generale per l’assoluzione di tutti gli accusati del caso Cucchi: non ci sono abbastanza prove per condannare medici, infermieri, carabinieri e guardie carcerarie, eppure le foto e i referti del giovane Stefano Cucchi, 31 anni, morto certamente di botte dopo essere stato arrestato, parlano chiaro: profonde ecchimosi alla schiena in corrispondenza di tre vertebre fratturate (tra cui il coccige), la mandibola fatta a pezzi, un occhio schiacciato nell’orbita con vasti ematomi alle palpebre, segni di violenza di varia intensità diffusi in altre parti del corpo

Indignazione generale per l’assoluzione di tutti gli accusati del caso Cucchi: non ci sono abbastanza prove per condannare medici, infermieri, carabinieri e guardie carcerarie, eppure le foto e i referti del giovane Stefano Cucchi, 31 anni, morto certamente di botte dopo essere stato arrestato, parlano chiaro: profonde ecchimosi alla schiena in corrispondenza di tre vertebre fratturate (tra cui il coccige), la mandibola fatta a pezzi, un occhio schiacciato nell’orbita con vasti ematomi alle palpebre, segni di violenza di varia intensità diffusi in altre parti del corpo. Gli imputati saranno di sicuro innocenti, però dal momento del suo arresto fino al momento della sua morte, Cucchi è stato sempre custodito in una struttura dello Stato, dunque se pure i giudici non se la sentono di chiamare i colpevoli con un nome e con un cognome, si dovrà ammettere che l’assassino è in ogni caso lo Stato e se l’assassino è lo Stato qualcuno che rappresenta lo Stato dovrà pur rispondere di quello che è successo.

E come si può farla pagare allo Stato?
La famiglia vuole citare in giudizio il Ministero della Giustizia, che ha sotto la sua giurisdizione il sistema carcerario.  

Chi era ministro della Giustizia all’epoca?
All’epoca del fatto - notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 - il ministro della Giustizia era Angelino Alfano. Più tardi, essendo ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, la famiglia Cucchi ebbe una sensazione diversa dello Stato, dato che il ministro Cancellieri - sono parole della sorella Ilaria - mostrò «una partecipazione vera, sensibile e non di circostanza, da donna vera». Al punto che la Cucchi solidarizzò  con lei all’epoca del guaio Ligresti. Adesso la madre di Stefano, Rita Calore, ha commentato, amarissimamente: «Se hanno assolto tutti, vuol dire che torno a casa e Stefano è là che mi aspetta, vivo».  

Come si svolsero i fatti?
Notte tra giovedì e venerdì 16 ottobre 2009: Stefano Cucchi e un suo amico vanno in giro per il Parco degli Acquedotti, a Roma, a bordo di due macchine. Fanno gli spiritosi guidando le auto affiancate. I carabinieri li fermano e li portano alla stazione Casilina. Stefano è un epilettico, un tossico, già nei guai per aver forzato un posto di blocco qualche anno prima. Adesso lavora da geometra con il padre. Ha addosso 20 grammi di hascisc «ben confezionato», due grammi di coca e quattro pasticche di ecstasy. Troppo. Lo chiudono nella cella della stazione e mandano via il suo amico. Lo processano per direttissima il giorno dopo a mezzogiorno. Il giudice, dottoressa Maria Inzitari, s’accorge che il giovane è malmesso, faccia gonfia, zoppica. Dispone perciò una visita medica e rinvia l’udienza al 13 novembre. Ad assistere al dibattimento ci sono i genitori. Vedono la faccia tumefatta del figlio. Quindi gli vanno dietro, per assisterlo sul piano giudiziario (Stefano ha anche rifiutato l’avvocato di fiducia) e soprattutto su quello medico. Ma - e da questo momento in poi vediamo all’opera tutta l’indolente ferocia del nostro Stato - non riescono a sapere fino al lunedì dove il figlio sia stato riocoverato. I rappresentanti dello Stato lo hanno infatti portato prima al Fatebenefratelli, poi, su richiesta di Stefano, l’hanno rimesso in cella per un’ora, quindi, siccome stava male, l’hanno trasferito al reparto carcerario del Policlinico, dove finalmente i genitori hanno potuto vederlo. Padre e madre chiedono di parlare con i medici e gli viene risposto che ci vuole il permesso del Tribunale. Ventiquattr’ore dopo, col permesso del Tribunale in mano, si sentono dire dagli agenti che ci vuole anche la controfirma della direzione di Regina Coeli. Ci vuole un altro giorno di attesa. Giovedì, con tutti i bolli a posto, il figlio è finalmente visibile. E glielo fanno vedere. Cadavere. S’è saputo poi che, prima di rendere l’anima, aveva chiesto una Bibbia. Non gliel’hanno data.  

Che dicono adesso quelli che sono stati assolit? O magari i loro avvocati?
Luciano Panzani, presidente della Corte d’Appello di Roma: «Il giudice penale deve accertare se vi sono prove sufficienti di responsabilità individuali e in caso contrario deve assolvere. È quello che i miei giudici hanno fatto anche questa volta. Se non vogliamo rischiare di perdere molto di più di quanto si sia perso in questa triste vicenda, nessuna gogna mediatica e nessun invito a "far pagare i magistrati per i loro errori"». Gianni Tonelli, segretario del sindacato di polizia: «Bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli. Se uno disprezza la propria salute e conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze».  

La famiglia?
È giusto ricordare che la famiglia ha avuto un risarcimento dall’ospedale Pertini di un milione e 340 mila euro. Si aspettano le motivazioni per il ricorso in Cassazione. La sorella Ilaria ha detto: «Devono uccidermi per fermarmi».