Il Messaggero, 30 ottobre 2014
Così l’Ebola si è diffusa partendo da un pipistrello. Dalla Spagnola all’Aids fino alla Sars: il saggista David Quammen analizza come i virus passino da una specie animale all’altra, senza escludere l’uomo (purtroppo)
Quando nella seconda metà dell’Ottocento Louis Pasteur scoprì l’origine microbica delle infezioni si affermò una concezione quasi bellica dei rapporti tra organismo e batteri. Grazie all’igiene, ai vaccini e ai farmaci le malattie sarebbero state debellate. Gli igienisti dichiararono perciò una “guerra ai microbi” in cui la scienza avrebbe dovuto riportare una vittoria definitiva sulle malattie infettive la cui evoluzione sarebbe stata sempre più prevedibile e governabile. Malgrado i successi della medicina, le infezioni continuano però a essere un fattore di rischio per l’umanità, una causa di timori se non di panico, aggravata dal fatto che un focolaio infettivo può diffondersi facilmente grazie alla facilità e rapidità con cui oggi ci spostiamo da un continente all’altro.
LE DUE FACCE
L’epidemia di influenza “Spagnola” è ormai un lontano ricordo ma a cavallo tra il 1918 e il 1920 uccise circa 50 milioni di persone. Dopo l’epidemia di Aids e i timori suscitati dalla Sars (la polmonite originata in Cina), l’umanità rischia un’epidemia di Ebola? Su questa malattia virale si alternano, anche a livello ufficiale, timori e posizioni ottimiste: ma se saremo in grado di debellare Ebola potremo ritenerci finalmente al sicuro da altri virus e pestilenze?
David Quammen, saggista esperto in temi naturalistici e autore di spedizioni per conto del National Geographic, ha appena pubblicato un saggio appassionante intitolato “Spillover - L’evoluzione delle pandemie” (tradotto da Luigi Civalleri per Adelphi) che, ad un tempo, è rassicurante e inquietante. Rassicurante perché ritiene che il potenziale pandemico di Ebola sia limitato e controllabile con gli strumenti di cui disponiamo, inquietante perché l’epidemia di febbre emorragica che oggi suscita tante apprensioni, non è che la punta di diamante di un continuo flusso di virus che saltano da specie animali vicine e lontane agli esseri umani (ma è vero anche il contrario).
Viaggiatore per passione e professione, Quammen ci conduce nell’Africa centrale dove una massiccia mortalità dei gorilla è quasi sicuramente connessa alla diffusione del virus Ebola: ci porta in Australia dove una forma influenzale che aggredisce il sistema nervoso passa dai pipistrelli ai cavalli e da questi agli esseri umani; indica come a Borneo una forma di malaria delle scimmie colpisca oggi anche gli uomini o come nello stato di New York i topi siano portatori della malattia di Lyme –danneggia articolazioni, cuore e sistema nervoso- che si sta diffondendo più velocemente dell’Aids in diversi stati degli Usa.
IL CEPPO ORIGINARIO
I casi di spillover (letteralmente traboccamento e quindi diffusione di una malattia da una specie all’altra) ci dicono che gli esseri umani e i gorilla, i cavalli, le antilopi, i maiali, i pipistrelli o i topi sono tutti nello stesso calderone, o se preferite in calderoni diversi che però traboccano diffondendo i virus tra specie diverse. Spesso dimentichiamo che siamo una specie animale e come tale simile ad altre, come l’inquietante volpe volante delle Comore che campeggia minacciosa sulla copertina nera del libro: siamo perciò suscettibili agli stessi batteri o virus, identici o mutati rispetto al ceppo originario. Perché mai gli agenti patogeni dovrebbero quindi farci grazia, essere un flagello per tutte le specie animali e non per noi umani?
Quammen ha una prosa piacevole al centro di un libro ricco di annotazioni che trasformano un saggio scientifico in un racconto vivace e pittoresco. Come quando ci descrive una sorta di settima piaga d’Egitto, l’infestazione esplosiva di bruchi che colpì la sua cittadina del Montana circa 20 anni or sono: «I bruchi si alimentavano soprattutto di giorno o all’imbrunire; ma in certe notti fresche di giugno, sotto i grandi alberi, si poteva ancora sentire un leggero crepitio, come di un incendio boschivo lontano, quando i loro escrementi cadevano al suolo passando attraverso il fogliame». Poi questa esplosione si fermò e i bruchi scomparvero: un virus li aveva attaccati e fermati, riportando la popolazione a una dimensione accettabile: e le foglie degli alberi ripresero a crescere.
IL CONTRASTO
Questo equilibrio tra gli agenti patogeni e la popolazione infettata non vale solo per i virus: se questi uccidessero tutti gli animali colpiti, resterebbero vittima della loro stessa voracità, non avrebbero più modo di moltiplicarsi e propagarsi al di fuori della specie che colpiscono. Per questo motivo le pandemie hanno una fine quando viene raggiunto un equilibrio tra i patogeni e la popolazione colpita, anche grazie all’esistenza di individui resistenti per vari motivi biologici. Questi individui resilienti sono oggetto di studio da parte dei biologi, alla ricerca di un principio – siero o farmaco che sia - che contrasti la diffusione dell’infezione. Tutto sommato i virus ci hanno insegnato a batterli grazie alla conoscenza di ciò che porta al loro successo: i flagelli come Ebola non cesseranno, ci ricorda Quammen, ma ci trovano preparati alla lotta…