la Repubblica, 29 ottobre 2014
La malagestione della distribuzione del potere d’acquisto tra gli umani. Nel mondo non si muore di fame perché non c’è cibo a sufficienza, ma perché mancano i soldi per comperarlo. In Italia non si è senza casa perché non ci sono case, ma perché ai proprietari conviene tenerle sfitte o sono troppo brutte e deteriorate, o troppo care per chi le cerca
Un quarto delle case italiane è disabitato, ma la superficie cementificata (secondo i dati del censimento 2011) è raddoppiata negli ultimi vent’anni. La produzione di cibo mondiale sarebbe in grado di sfamare dodici miliardi di persone (stima Fao), ma circa un miliardo degli attuali viventi patisce la fame, e secondo alcune stime non viene consumato circa il quaranta per cento del cibo disponibile. È dunque la cattiva o maldestra o iniqua gestione di ciò che abbiamo, a doverci preoccupare; non la quantità insufficiente di beni, ma la qualità scadente della loro distribuzione e — soprattutto — della distribuzione del potere d’acquisto tra gli umani. Nel mondo non si muore di fame perché non c’è cibo a sufficienza, ma perché mancano i soldi per comperarlo. In Italia non si è senza casa perché non ci sono case, ma perché ai proprietari conviene tenerle sfitte, o sono troppo brutte e deteriorate, o troppo care per chi le cerca. Bisognerebbe dirlo in modo meno schematico: ma ogni discorso che enfatizza la quantità (più cemento, più cibo per ettaro, più consumo dei suoli) odora di vecchio e/o di speculazione; ogni discorso sulla qualità è vitale, socialmente generoso, culturalmente nuovo. Di questo scontro epocale tra quantità mitizzata e qualità trascurata la politica discute pochissimo. Anche per questo è sempre meno appassionante.