La Gazzetta dello Sport, 29 ottobre 2014
Interrogato ieri per più di tre ore, il presidente della Repubblica non dovrebbe aver detto praticamente niente di utile relativamente alla presunta trattativa stato-mafia
Interrogato ieri per più di tre ore, il presidente della Repubblica non dovrebbe aver detto praticamente niente di utile relativamente alla presunta trattativa stato-mafia. Nonostante questo, è pressoché certo che oggi i giornali dedicheranno all’episodio forti titoli. Più d’uno, già alla vigilia, aveva spiegato che in questo interrogatorio le domande sarebbero state più importanti delle risposte. E non è troppo complicato montare scandali sulle domande, e fare poi insinuazioni sulle domande che non hanno avuto risposte.
• Mi sembra una di quelle tipiche storie all’italiana, dovunque ti giri nebbia, tutti sembrano avere ragione, e, non si sa bene perché, un brivido ti corre su per la schiena.
Gliela racconto brevissimamente, e mi scuso. Il 30 gennaio 1992 Totò Riina e altri mafiosi di peso vennero condannati in via definitiva all’ergastolo. Si vendicarono dando inizio a una serie di attentati che culminarono con l’assassinio di Giovanni Falcone e della sua scorta. Questo atto provocò l’estensione anche ai mafiosi del carcere duro, come regolato dall’articolo 41 bis della legge penitenziaria e fino a quel momento desitinato solo a chi organizzasse rivolte in carcere. La mafia rispose ammazzando Borsellino e inanellando una serie di stragi, riuscite o meno, tutte rivendicate dalla sigla "Falange armata". Attentato a Maurizio Costanzo (fallito), strage dei Georgofili a Firenze, strage di via Palestro a Milano eccetera. Nel corso di questi eccidi, lo Stato, attraverso certi suoi funzionari, avrebbe avvicinato esponenti mafiosi per ottenere una sospensione degli attentati e offrire in cambio un’attenuazione del carcere duro. La mafia avrebbe messo per iscritto le sue richieste su un celebre "papello". Lo Stato, secondo quelli che credono alla trattativa, avrebbe quindi rimosso certi funzionari invisi alla malavita e non rinnovato il 41 bis per trecento mafiosi. Le stragi, grazie a queste iniziative oppure no, a un certo punto cessarono. Questo plot troppo sintetico deve comunque essere arricchito dal solito condimento di intercettazioni, depistaggi, agenti segreti, avventurieri, giornalisti e politici schierati da una parte o dall’altra, e un’infinità di sotto-casi che producono appunto il solito effetto nebbia che riguarda i grandi scandali italiani. Al punto che non si sa mai con certezza nemmeno se questi scandali esistano o no. Credono comunque fermamente all’esistenza di una trattativa tra lo Stato e la mafia certi procuratori di Palermo, a cominciare dall’Antonino Ingroia che tentò poi vanamente la via della politica finendo invece addirittura estromesso dalla magistratura. Questi procuratori sono considerati da alcuni degli eroi e da altri dei cialtroni. E qui mi fermo perché lo spazio a disposizione è finito.
• Che c’entra Napolitano?
Napolitano aveva un consigliere giuridico, di nome Loris D’Ambrosio, che temette a un certo punto di essere coinvolto in qualche modo nel pasticcio. E scrisse una lettera al presidente della Repubblica Napolitano avvertendolo che era in corso una manovra per colpirlo attraverso di lui. La lettera conteneva questo passaggio: «Lei sa che di ciò ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone. E sa che, in quelle poche pagine, non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi - solo ipotesi - di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». A quali "indicibili accordi" si riferisce il povero D’Ambrosio, morto poco dopo d’infarto? Ecco quello che vogliono sapere i magistrati ddi Palermo. Napolitano aveva già detto, con una lettera, di non saperlo. Ma i magistrati hanno preteso di sentirselo dire in faccia. Ed ecco l’interrogatorio di ieri.
• Napolitano è andato a Palermo per essere interrogato?
No, tutta la Corte d’Assise si è trasferita al Quirinale, compresi gli avvocati degli imputati, cioè dei mafiosi, tra cui Riina. In base a quello che s’è saputo Napolitano s’è dimostrato assai collaborativo. Ma, stringi stringi, ha confermato di non aver mai saputo di accordi. E quanto a un attentato che sarebbe stato progettato contro di lui e contro Spadolini (negli anni 1992-1993 presidenti di Camera e Senato), anche su questo ha ripetuto di non saper niente. A richieste ulteriori ha risposto (più o meno): «Non ho mica la memoria di Pico della Mirandola».
• Significa che in qualche caso il Presidente è stato reticente?
A sentire gli avvocati all’uscita no. Anzi qualche volta ha chiesto al presidente della Corte d’Assiste, Alfredo Montalto, di poter rispondere anche a domande del legale di Riina che la Corte non aveva ritenuto ammissibili. «Presidente, se lei permette, voglio accontentare l’avvocato».
• Non sapremo mai niente di quello che si sono detti veramente, no?
In una nota il Quirinale «auspica che la Cancelleria della Corte assicuri al più presto la trascrizione della registrazione per l’acuqisizione agli atti del processo, affinché sia possibile dare tempestivamente nota agli organi d’informazione e all’opinione pubblica» dell’udienza.