Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 28 Martedì calendario

Ecco cos’è la «Svolta di Salerno», la scelta politica di Palmiro Togliatti che diede prova del suo patriottismo e della sua capacità di agire nell’interesse dell’Italia. Però l’idea gli nacque a Mosca

Vuole spiegare ai lettori la cosiddetta «svolta di Salerno», da lei citata in una risposta?
Raffaello Sacchi
Fino Mornasco (Co)

Caro Sacchi,
«Svolta di Salerno» è l’espressione con cui viene generalmente definita la scelta politica compiuta da Palmiro Togliatti dopo il suo ritorno in Italia dall’Unione Sovietica nel marzo 1944. Sbarcato a Napoli il 27, mentre il Vesuvio, risvegliatosi nei mesi precedenti, aveva da poco smesso di vomitare polvere e lapilli, il leader comunista annunciò che il suo partito era disposto ad accantonare per il momento la questione monarchica e a partecipare, con altre forze politiche antifasciste, a un governo presieduto dal maresciallo Badoglio. Grazie alla mediazione di Enrico De Nicola, fu trovato un compromesso. Vittorio Emanuele III avrebbe trasferito i suoi poteri al figlio, Umberto sarebbe diventato Luogotenente del Regno e la questione costituzionale (monarchia o repubblica) sarebbe stata risolta con un referendum dopo la fine del conflitto. Il nuovo governo Badoglio fu costituito il 22 aprile e Togliatti divenne vice-presidente del Consiglio. La «svolta», da quel momento, divenne la prova del patriottico realismo di Togliatti e della sua capacità di agire nell’interesse dell’Italia senza attendere istruzioni da Mosca. Fu il piedistallo su cui il Pci costruì l’immagine del leader autorevole e indipendente, capace di realizzare un comunismo italiano.
Le cose, in realtà, erano andate diversamente. Per governare l’Italia dopo la conquista del Sud, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna crearono una Commissione alleata di controllo, ma confinarono l’Urss e altri alleati minori in una commissione consultiva priva di qualsiasi potere. L’uomo che amministrava la politica estera accanto a Badoglio (un diplomatico, Renato Prunas) capì che la decisione angloamericana regalava all’Italia una carta da giocare. Ebbe colloqui con il rappresentante sovietico (era Andrej Vyšinskij, pubblico inquisitore nei grandi processi staliniani degli anni Trenta) e propose la ripresa dei rapporti diplomatici. Quando venne in discussione il problema Togliatti, di cui i sovietici avevano già chiesto il ritorno in patria, Prunas non sollevò obiezioni e auspicò che i comunisti avessero con il governo Badoglio un rapporto più costruttivo.
Non è tutto. Mentre facevano ricerche negli archivi sovietici, due studiosi, Viktor Zaslavsky e Elena Aga Rossi, hanno trovato documenti da cui risulta che Togliatti ebbe una lunga conversazione con Stalin al Cremlino, nella notte del 4 marzo 1944, alla presenza di Molotov, e ricevette istruzioni sulla politica che avrebbe dovuto perseguire dopo il ritorno in patria. Sino a quel momento, il leader comunista italiano era stato contrario a qualsiasi forma di collaborazione con la monarchia e con Badoglio. Nel loro libro ( Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca Il Mulino, 1997) Zaslavsky e Aga Rossi sostengono che la partecipazione di Togliatti al governo Badoglio è soltanto uno dei numerosi casi in cui il Pci si è adeguato alle direttive della politica estera sovietica.