Libero, 28 ottobre 2014
Mps e Carige sono in cerca di tre miliardi e già circolano voci di possibili scalate: da Ubi a Santer
AAA: tre miliardi cercasi. È la cifra necessaria perché Carige (814 milioni richiesti) e Monte Paschi (2,1 miliardi) possano mettersi in regola con le richieste della Bce. È il conto che ha terrorizzato i mercati finanziari, allergici a versare nuovi quattrini nelle due banche, già reduci da aumenti di capitale recenti, al punto tale da coinvolgere anche gli istituti che hanno avuto le pagelle migliori. Il motivo? Gli operatori temono che i 25 miliardi di «capitale in eccesso» emersi dall’esame degli ispettori di Francoforte possano essere dirottati verso le banche più sofferenti. Già si parla, al proposito di un possibile intervento di Ubi e/o del Banco Popolare in soccorso di Carige mentre, conti alla mano, già si fa notare che Banca Intesa ha spalle abbastanza robuste per accollarsi Mps. Le smentite sono subito fioccate, ma il danno è stato comunque rilevante. a) Il primo a tirarsi indietro dall’ipotesi Carige è proprio l’Ubi. «Premesso che non vi è alcun dossier aperto, e che nel caso sarebbe Ubi Banca a scegliere, il gruppo ha una storia di creazione di valore. Butta i propri soldi chi specula su una modifica di questa strategia». Più esplicito di così Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi, uno degli istituti italiani usciti meglio dall’esame europeo, non poteva essere. La stagione del «pronto soccorso» ormai è finita. Ma questo non esclude fusioni o alleanze. Tutt’altro. Ubi, al pari del Banco Popolare, l’altro grande vincitore del torneo europeo, sono senz’altro alla vigilia di una stagione di aggregazioni che coinvolgerà anche Bpm e Bper. E Carige? La banca ha già deliberato un aumento di capitale per 650 milioni. C’è da chiedersi chi lo sottoscriverà. Anzi, la vera domanda è se Andrea Bonomi, oggi concentrato sull’acquisto del Club Mediterranée, vorrà ripresentare la sua offerta già respinta dai soci e dalla Fondazione ligure, in nome di «un’autonomia» che non ha portato bene. b) La partita chiave riguarda però il futuro dell’istituto di Siena, sotto ieri del 21% o forse di più, visto che il titolo non ha fatto segnare scambi in Borsa. Le menti più fertili di Ubs e Citigroup, oltre a finanzieri fantasiosi come Davide Serra, si stanno esercitando al capezzale della banca senese per trovare un’alternativa globale o, quantomeno parziale, all’aumento di capitale. Si parla di titoli ibridi legati al Tier 1 (già utilizzati da Unicredit) o di CoCo bond, obbligazioni che rendono assai più di quelle ordinarie ma possono essere trasformate in capitale su richiesta della banca, un tipo di titolo caro a Serra, il finanziere vicino a Renzi che proprio nei giorni scorsi ha lanciato un fondo dedicato ai non performing loans, cioè i crediti dubbi che sembra pensato apposta per Mps. Ma si tratta di soluzioni parziali, che possono aiutare ma non cancellano la necessità di mezzi freschi. c) Il problema è che Mps non ha alcuna chance di raccogliere sul mercato due miliardi. Di qui la prospettiva dell’ingresso di un nuovo partner: Intesa o, assai più facile, una banca straniera. Banca d’Italia, nella persona del vicedirettore generale Fabio Panetta, ha già fatto sapere che, se «la soluzione consentirà di avere una banca più solida e capace di erogare credito all’economia, non saremmo contenti, ma contentissimi». Ma chi può essere il partner? L’indiziato numero uno è il Banco de Santander, il colosso spagnolo che potrebbe rientarre sulla scena italiana dopo aver ceduto Banca Antonveneta, l’origine dei guai, a Mps. Sarebbe un finale degno di un giallo.