Il Sole 24 Ore, 28 ottobre 2014
Elezioni in Tunisia. Nidaa Tounes davanti al movimento islamico Ennahda. A cinque anni dalla Rivoluzione dei gelsomini che innescò la Primavera araba, si profila una svolta laica
Già domenica, nei seggi della capitale Tunisi, si respirava un’aria diversa. Orgogliosi della rivoluzione, molti tunisini non nascondevano però la loro delusione. Che fossero laici o religiosi, rimproveravano al movimento islamico Ennahda , vincitore delle passate elezioni, di non aver mantenuto le promesse. Soprattutto di non esser stato capace di avviare il risanamento di un’economia in gravi difficoltà, ormai la prima preoccupazione per tutti.
Ieri mattina Tunisi si è svegliata con i notiziari che, con ritmo martellante, annunciavano una vittoria inaspettata. Secondo i primi sondaggi, il partito laico e secolarista Nidaa Tounes conduceva con un deciso vantaggio su Ennahda: 80-82 seggi (circa il 37-38%) contro 67. Risultati simili erano stati confermati da fonti dei due partiti. Ancora nulla di ufficiale. Ma le seconde elezioni parlamentari dopo la caduta del dittatore Ben Ali rappresenterebbero una grande svolta nel solo Paese dove la Primavera araba è stata seguita da un transizione non solo pacifica, ma anche democratica e credibile.
«Accettiamo questo risultato e ci congratuliamo con il vincitore, Nidaa Tounes», ha dichiarato nel pomeriggio Lofti Zitoune, politico influente di Ennahda . «Non abbiamo stime definitive, ma secondo i nostri calcoli Nidaa sarebbe in vantaggio di una dozzina di seggi», ha poi ribadito il portavoce del movimento, Zied Laadhari.
La politica populista di Ennahda , dunque, non ha pagato. E ancora meno l’atteggiamento considerato da molti elettori troppo indulgente nei confronti dei movimenti salafiti jihadisti tunisini che si sono rafforzati negli ultimi due anni. Davanti alla minaccia del terrorismo, e ai 3mila salafiti che sono andati in Siria per unirsi all’Isis, la popolazione ha prima reagito con paura e poi si è unita.
La vittoria di Nidaa Tounes non è un ritorno al passato. È vero che in questa coalizione anti-islamista, guidata dall’anziano leader Beji Caid Essebsi, figurano esponenti del vecchio regime. Ma vi sono anche diverse forze nuove.
Giovedì, al più tardi, dovrebbero arrivare i risultati definitivi, che preciseranno l’entità di un distacco che non sembra più colmabile (anche se, in serata, le autorità ufficiali hanno annunciato che in due circoscrizioni, Tozeur et Tataouine, Ennahda era in testa con un grande vantaggio). Per ora l’unico dato certo è quello sull’affluenza 61,8%, una buona partecipazione anche se inferiore al 2011. Comunque si è trattato di un voto con irregolarità apparentemente isolate.
Nessuna delle due maggiori forze politiche avrà comunque la maggioranza assoluta. Occorrerà quindi formare un governo di unità, come già accaduto nel 2011. Probabilmente lo faranno dopo l’esito delle elezioni parlamentari, previste in novembre. Grande importanza avrà quindi il partito terzo classificato e l’eventualità che questo si coalizzi con il primo arrivato.
E la seconda sorpresa è arrivata proprio dall’Upl, partito creato dal magnate tunisino Slim Riahi: con 17 seggi e il 7,8% si piazzerebbe al terzo posto, davanti alla formazione dell’estrema sinistra del Fronte popolare (5,5% e 12 seggi) Altre fonti davano però l’Upl al 4,4 l’Fp al 3,7%. Altri partiti minori, come Ettakol, partner nel governo recedente, avrebbero registrato una perfomance negativa. È prematuro ipotizzare le potenziali alleanze. L’Fp è sempre stato ostile a Ennahda, ma ha sempre guardato con diffidenza anche a Nidaa Tounes, di cui non condivide il programma economico. Tutto è possibile. Tenendo fede all’intenzione di dividere il potere, nel 2011 Ennahda, che vinse con il 40% , formò una coalizione con due partiti laici, Ettakol e il Cpr. Non è quindi esclusa, anche se data per improbabile, una coalizione che comprenda quasi tutte le forze in campo.
Il mondo guarda ora con fiducia alla Tunisia, il laboratorio delle primavere arabe. Il presidente americano Barack Obama si è congratulato per le elezioni, definendole una pietra miliare nella storica transizione politica del Paese. I problemi tuttavia non mancano. «La corruzione è ancora molto alta, pressoché allo stesso livello dei tempi della dittatura, ma in Tunisia non accadrà mai quello che sta succedendo in Siria, Libia e Yemen. La nostra società, che ha un tasso di istruzione più alto degli altri Paesi arabi, ha gli anticorpi per proteggersi da questa minaccia», ci ha spiegato Sami Ben Gharbia, uno dei fondatori di Nawaat, il più influente blog di dissenso in Tunisia già durante la dittatura. Dopo la prova di maturità della popolazione, la parola ora spetta ai politici.