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 2014  ottobre 28 Martedì calendario

Il peso delle Fondazione nelle bocciature di Mps e Carige. Uno studio del Fondo monetario afferma che «in passato hanno aiutato le banche italiane a crescere e modernizzarsi ma ora la posizione finanziaria di diverse Fondazioni si è indebolita, generando preoccupazioni sulla loro capacità di fornire ulteriore sostegno. E dato che sono anche soggette all’influenza politica, la loro proprietà delle banche influenza la composizione degli organi decisionali e delle attività delle banche»

Due banche bocciate, due Fondazioni che fino all’ultimo hanno cercato di mantenere ciascuna il controllo del «suo» istituto. Difficile definirla solo una coincidenza. I destini paralleli di Banca Mps e Carige, con gli scandali della loro gestione e i manager indagati, riportano anche alle strategie gemelle degli enti che per anni sono stati padroni incontrastati dei loro destini.
Strategie che in sintesi hanno rallentato le ricapitalizzazioni necessarie, privilegiando invece il più possibile - talvolta oltre il possibile - il mantenimento del controllo. E strategie che alla fine dei conti si sono dimostrate fallimentari: Fondazione Mps è passata in sei anni dal 51% al 2,5% del capitale della banca senese, perché costretta a vendere buona parte della sua quota proprio per far fronte a tre successive ricapitalizzazioni per un totale di 12 miliardi e pagare i debiti contratti. La sua consorella genovese, che ancora all’inizio del 2014 controllava oltre il 46% di Carige è scesa a giugno al 19% per poter affrontare un aumento di capitale da 800 milioni. Adesso rischia di vedersi diluita - a causa di un nuovo aumento - ben sotto il 10% e medita un’azione di responsabilità nei confronti dei vertici della banca.
Così chi ha parlato in queste ore con Giuseppe Guzzetti, dominus della Fondazione Cariplo e presidente dell’associazione di settore, ha sentito anche lui esprimere giudizi tutt’altro che benevoli sulle associate per l’appunto di Siena e Genova. Certo Guzzetti, che è sempre uno strenuo difensore del ruolo e dell’assetto delle Fondazioni bancarie, ci tiene a fare dei distinguo: ad esempio sottolineando come i due campioni del sistema creditizio nazionale Unicredit e Intesa-Sanpaolo - di quest’ultima proprio la Cariplo è azionista - abbiano ottenuto ottimi risultati nell’esercizio voluto dalla Bce. Quando venerdì prossimo, quando come ogni anno l’Acri celebrerà in pompa magna la «Giornata del risparmio, presenti sia il Governatore della Banca d’Italia sia il ministro dell’Economia, sarà però difficile per Guzzetti eludere una riflessione autocritica su quelle Fondazioni che per troppa smania di controllo hanno finito per restare a mani quasi vuote.
Il mese scorso è stato uno studio occasionale del Fondo monetario internazionale a rimettere nel mirino gli enti che esercitano di fatto, se non di diritto, il controllo su molte realtà bancarie. Nello studio sulla governance delle banche italiane si legge che «in passato le Fondazioni hanno aiutato le banche italiane a crescere e modernizzarsi. Hanno anche ricoperto un ruolo come azionisti di lungo termine e nella recente crisi hanno sostenuto gli sforzi di ricapitalizzazione degli istituti». Ma lo studio afferma anche che «la posizione finanziaria di diverse Fondazioni si è indebolita, generando preoccupazioni sulla loro capacità di fornire ulteriore sostegno. E dato che le Fondazioni sono anche soggette all’influenza politica, la loro proprietà delle banche influenza la composizione degli organi decisionali e delle attività delle banche». Parole che adesso, proprio alla luce dei casi di Genova e Siena, potrebbero dare nuovo carburante alle critiche. Guzzetti ricorderà anche che proprio lui, alla «Giornata del Risparmio» dello scorso anno, aveva dato il via libera alla riforma delle Fondazioni che avrebbe dovuto prevedere un distacco più marcato tra gli enti e le loro partecipate, proibendo tra l’altro alle Fondazioni di indebitarsi per sottoscrivere gli aumenti di capitale delle banche. Peccato che da allora ad oggi della legge di riforma si siano perse le tracce
Ma ben più del dibattito sul loro ruolo, alle Fondazioni interessa oggi rintuzzare quella che considerano una vera e propria offensiva fiscale nei loro confronti da parte del governo Renzi. La misura della Legge di stabilità per il 2015 che abbatte dal 95% al 22,26% la quota di esenzione dei dividendi percepiti da tutti gli enti non commerciali, costerà alle Fondazioni - secondo i calcoli dell’Acri - 150 milioni in più il prossimo anno, a cui vanno aggiunti subito altri 150 milioni perché la norma è retroattiva sul 2014. Secondo alcuni osservatori gli effetti potrebbero essere inferiori, anche grazie agli sconti fiscali per le donazioni che le Fondazioni fanno agli istituti di ricerca. Ma sta di fatto che gli associati all’Acri, che ogni anno erogano circa 850 milioni, agitano adesso l’ipotesi che con questa tassazione dovranno ridurre di circa un terzo le loro erogazioni, proprio mentre lo Stato sociale zoppica e i territori non sembrano poter fare a meno di questi fondi. Anche su questo tema, in un clima che pare diventato meno favorevole alle Fondazioni, si parlerà venerdì.