la Repubblica, 28 ottobre 2014
Dalle raffinerie dell’Eni all’acciaieria di Terni, al ministero della Sviluppo economico si contano 160 crisi aziendali. Sono 28mila i dipendenti che rischiano il posto di lavoro
La crisi che divora posti di lavoro si tocca con mano nelle stanze del ministero dello Sviluppo economico. Nella sede di via Veneto a Roma, la strada della Dolce Vita (quasi uno scherzo del destino) ci sono 160 tavoli aperti per cercare di tappare una falla di quasi 28mila persone a rischio del posto di lavoro su un totale di 155 mila dipendenti. Circa 70 di queste vertenze sono state riportate alla normalità, una volta superata la fase critica. Sono aziende “salvate” dall’intervento del ministero. Ma per 70 salvate ce ne sono altre 160 con sopra il capo un grande punto interrogativo.
I settori più colpiti sono l’automotive e la componentistica auto, con 17 imprese coinvolte, sei di queste localizzate al Sud. Sedici, invece, i nodi da sciogliere nella chimica (cinque si trovano nel Meridione). A seguire informatica (dodici aziende quasi tutte del Sud), tessile e moda, elettronica, agroalimentare, siderurgia.
Insomma, gran parte di queste aziende sono realtà medio-grandi, danno lavoro a centinaia di persone e sono prevalentemente del Nord Italia, il 50,6 per cento per la precisione. Poco più di 50 (il 35 per cento) sono del Meridione, il resto sono imprese a livello nazionale (il 14,4 per cento). Quasi la metà hanno oltre 500 dipendenti e sul totale, se si sommano le fasce tra 251 e fin oltre i 500 lavoratori, arrivano al 66 per cento del totale.
Dopo le raffinerie Eni, le acciaierie di Terni, l’ultimo caso, che sta scoppiando in queste ore, riguarda la Guaber, storico marchio che appartiene al gruppo italo-francese Spotless, acquisito dalla Henkel. Secondo i sindacati la nuova proprietà ha comunicato l’intenzione di «chiudere la sede di Casalecchio di Reno, che conta 80 dipendenti, entro il prossimo anno». Un nuovo dossier pronto per entrare nelle stanze del ministero dello Sviluppo.
Per gestire questa piena che rischia di travolgere il sistema manifatturiero italiano è stata creata alcuni anni fa l’Unità gestione vertenze, il braccio del ministero che quest’anno, si accinge a superare senza sforzo le 300 riunioni con le parti in causa, senza contare i meeting preparatori (almeno due o tre per ogni caso). Incontri che servono a mettere a punto ogni vicenda prima di arrivare al “tavolo”.
Un tavolo al giorno tutto l’anno.
Scorrendo le pagine web di questa task force, si scopre che sono stati scritti fiumi di parole da quando la crisi è esplosa. Sono state tentate soluzioni di ogni genere per aziende di ogni tipologia — attive in ogni angolo del nostro Paese — per sbarrare la strada ai licenziamenti, alle chiusure.
Oltre ai 155mila lavoratori teoricamente coinvolti da crisi aziendali e le 28mila richieste di esuberi pervenuti complessivamente, sul sito del Ministero per lo Sviluppo economico ci sono 92 pagine di verbali di vertenze, che fanno un tomo di quasi mille casi: molti risolti, altri ancora appesi a un filo.
Da Alcoa a Ideal Standard, passando per Bridgestone, Esaote, Sgl Carbon, i divani Natuzzi, Iacobucci MK, la Irisbus, Sapa Group, Fga e Pcma, Vela, le cartiere della Burgo. E questi non sono che gli ultimi casi affrontati al ministero nelle prime tre settimane di questo ottobre.