Affari&Finanza, 27 ottobre 2014
Finmeccanica, il piano industriale arriverà tra un mese. Ma Moretti non è rimasto con le mani in mano. Ha riorganizzato tutta la struttura interna, tagliato le prime linne, vuole vendere le controllate dei trasporti e persino cambiare il nome del gruppo per rifarsi una verginità e cancellare quell’immagine macchiata dagli scandali nazionali e intercontinentali, come quello degli elicotteri in India
Mauro Moretti ha cambiato idea. Quando era amministratore delegato delle Fs, committente importante dei treni di Ansaldo Breda (suo l’Etr 500 Frecciarossa così come il nuovo Etr 1000), tuonò: «Non possiamo perdere settori perché uno non li considera core business e li deconsolida». Ma ora che è diventato il numero uno di Finmeccanica vuole vendere le controllate dei trasporti. A nsaldo Breda e Ansaldo Sts rappresentano meno del 10 per cento del fatturato di tutto il gruppo. Ha bisogno di soldi, Moretti. E ha troppi debiti. Spiega: non possiamo permetterci di restare nel settore dei trasporti. Tanto più che Ansaldo Breda (100 per cento di Finmeccanica) - non il gioiellino del segnalamento (40 per cento), quotato alla Borsa di Milano, che macina utili - accumula centinaia di milioni di perdite ogni anno. E poi tutti i grandi dei trasporti sono in crisi di questi tempi: Alstom, Bombardier, Siemens. Tempi grigi. Viste da vicino, dunque, le prospettive mutano. E un manager non può avere pregiudizi e vivere di coerenze improduttive. È che allo stato sono le prospettive della holding di piazza Monte Grappa che restano incerte. Quale sarà la Finmeccanica di Mauro Moretti? Questo non è ancora chiaro, appunto. Il piano industriale arriverà solo a dicembre e il 5 novembre ci sarà la nuova trimestrale, in linea con la precedente, cioè con più debiti e meno ordini. Non una bella trimestrale. Per ora Moretti ha detto quello che non farà più, chiudendo definitivamente con la lunga stagione segnata dalle scelte industriali e non solo di Pier Francesco Guarguaglini con la quale, per ragioni diverse, avevano dovuto fare i conti sia Giuseppe Orsi sia Alessandro Pansa. Moretti è più forte di entrambi avendo un mandato chiaro da parte dell’azionista di riferimento, cioè del governo (il 30,2 per cento è controllato dal Tesoro) e ancor più precisamente del premier Matteo Renzi da cui è stato scelto: portare Finmeccanica oltre la seconda Repubblica. Perché Finmeccanica non è mai stata solo la grande holding tricolore dell’aerospazio, della difesa, della sicurezza, dei trasporti (ancora per poco) e un tempo pure dell’energia; il mega gruppo da poco meno di 60 mila dipendenti, che genera circa lo 0,6 per cento del nostro Pil, e il cui investimento in ricerca rappresenta più del 6 per cento del totale degli investimenti italiani (pubblici e privati) nel settore. Finmeccanica, con le sue aziende, è stata il teatro delle grandi spartizioni, della lottizzazione partitica e sindacale nella prima Repubblica dei boiardi di Stato, e poi della distribuzione delle poltrone tra le lobby della Seconda dei partiti personali, tra scorribande di affaristi e di manager profumatamente pagati ma non sempre preparati adeguatamente. Infine di sovrapposizioni produttive che hanno nuociuto non poco alla redditività complessiva. Ora la mammella-Finmeccanica ha terminato il suo latte, e se non si trasforma “solo” in un’azienda non ha un gran futuro davanti. Moretti, ruvidamente, l’ha anche sostenuto davanti ai parlamentari senza fare sconti ai suoi predecessori. «Dobbiamo costruire un core business in cui concentrare tutte le risorse produttive e umane che abbiamo. Per non scomparire dobbiamo avere manager competitivi e fornitori qualificati». E nel palazzo romano color fumé ha diffuso la paura che in parte ha prodotto la paralisi. Nello stesso tempo non si può del tutto dire, guardando la composizione del board di Finmeccanica dove la logica nuova della lottizzazione personale ha fatto capolino (nel cda è arrivato pure il renziano Fabrizio Landi finanziatore delle campagne per le primarie del leader Pd), che siamo davvero di fronte a un nuovo inizio, a una sorta di rifondazione. Ma la discontinuità (rottamazione?) morettiana c’è stata, eccome, nella riorganizzazione interna, nel ricambio e nei tagli delle prime linee. Addirittura si torna a parlare, come ai tempi di Alessandro Pansa, di un cambio del nome del gruppo per ricostruire anche un’immagine macchiata dagli scandali nazionali e intercontinentali, come quello degli elicotteri in India. La reputazione, infatti, è un bene primario per un gruppo che opera nel mondo. Moretti ha portato con sé una parte del management delle Ferrovie alla Finmeccanica, nella logica della fedeltà più che del merito. Non ha ricercato una selezione competitiva all’interno, come per esempio fece Sergio Marchionne quando atterrò a Torino. Ha scelto, l’ingegnere riminese, un’altra strada per la presa del potere. Proviamo allora a distinguere i due piani, quello per così dire politico, da quello delle strategie aziendali che dovranno condurre alla Nuova Finmeccanica. E a trovare poi le inevitabili interconnessioni. La rupture all’interno c’è stata, dunque. A Piazza Monte Grappa non c’è più il direttore generale, la carica l’ha assunta lo stesso Moretti. Sergio De Luca, già amministratore delegato di Ansaldo Sts, è saltato mentre, alla vigilia dell’approdo del “Ferroviere”, sembrava destinato ad avere un rapporto privilegiato con il nuovo capo azienda per la comune esperienza nel campo dei trasporti. Alle risorse umane e agli affari legali ci sono due uomini targati Fs: rispettivamente Domenico Braccialarghe e Andrea Parrella. Viene dalle Fs anche il responsabile delle relazioni esterne e istituzionali, Federico Fabretti. Completano la squadra di comando Gian Piero Cutillo, cfo del gruppo, Francesco Lalli, responsabile dei Programmi di finanziamento nazionale e comunitario, Tommaso Profeta, uomo di fiducia del presidente Gianni De Gennaro, a capo della sicurezza. C’è poi soprattutto Giovanni Saccodato, direttore delle strategie che ha incrementato le sue funzioni con la responsabilità pure dello sviluppo dei mercati e del business. Saccodato è uomo di cultura industriale, che ha gestito il passaggio di Ansaldo Energia al Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti, ed è destinato ad assumere un ruolo chiave nel riassetto gestionale di Finmeccanica. Ma la via morettiana alla conquista di Finmeccanica passa da un ripensamento radicale del rapporto tra la holding e le società operative del core business di aerospazio e difesa, controllate al 100 per cento, che sono pronte a diventare divisioni. Gli uffici dei rispettivi capi azienda, tra malcelati malumori, sono stati portati al primo piano di Piazza Monte Grappa. Chiuse le costose sedi romane. Spostati gli head quarter nei siti produttivi. Si dice che Moretti eserciti un controllo ferreo finanche sulle trasferte dei top manager. Qualcuno sta pensando di andarsene. Lo stesso Giuseppe Giordo, ad di Alenia, in buoni rapporti con quel Valentino Valentini factotum per le questioni estere berlusconiane, e che puntava alla successione a Pansa, potrebbe staccare la spina o essere costretto a farlo. Voci o forse anche veleni. Nel nuovo perimetro del core business di Finmeccanica che è poi quello disegnato da Pansa non c’è posto così per i trasporti. Entro la prima decade di novembre i cinesi di Cnr e i giapponesi di Hitachi dovrebbero presentare le offerte vincolanti per Ansaldo. Renzi sembra prediligere la via cinese, ma la partita appare apertissima. Comunque vendere non vuol dire fare sviluppo, al massimo si chiude qualche falla. E poi le ristrutturazioni delle varie divisioni proseguiranno (Moretti ha parlato di due anni di riorganizzazione) fino a far stimare ai sindacati almeno duemila lavoratori in eccedenza. E una Finmeccanica più piccola non è affatto detto che possa fare massa critica più facilmente. Anzi. Le dimensioni nei settori dell’alta tecnologia (elicotteristica, difesa, aeronautica, sicurezza) non sono un fattore secondario anche solo per accedere alle gare internazionali. Moretti dovrà cercare gli alleati, diversi in ciascun settore. Qui si misureranno davvero le sue capacità. E dovrà dimostrare di non essere «il becchino» di Finmeccanica come egli stesso ha detto nell’ultima audizione nella commissione parlamentare. DOPO LA TRIMESTRALE Il piano industriale arriverà dopo la trimestrale del 5 novembre. I numeri non sono buoni ma saranno la base sulla quale l’amministratore delegato di Finmeccanica ridisegnerà il futuro del gruppo Qui sopra, l’ad e direttore generale di Finmeccanica Mauro Moretti a bordo dell’ M-346 esposto la scorsa estate a Le Bourget in occasione dell’ultimo World Air Show