La Gazzetta dello Sport, 26 ottobre 2014
Ieri la Cgil ha portato in piazza a Roma centinaia di migliaia di persone, forse un milione come dicono gli organizzatori, e ha sancito in questo modo l’esistenza di due partiti che portano il nome di Pd
Ieri la Cgil ha portato in piazza a Roma centinaia di migliaia di persone, forse un milione come dicono gli organizzatori, e ha sancito in questo modo l’esistenza di due partiti che portano il nome di Pd. Un primo partito, capeggiato a questo punto dalla stessa Camusso, o forse dal capo Fiom Landini, che non vuole accordi con Berlusconi, chiede la patrimoniale, lotta contro la riforma del lavoro pensata dal governo («questo governo» la formula che un tempo si adoperava per i gabinetti nemici), contesta Renzi e il renzismo alla radice, mostrando disgusto anche per certi amici del Pd come il finanziere Davide Serra, chiamato in causa dalla Camusso e dalla Bindi come a suo termpo Bersani. Insomma, per dirla con tre parole, esiste un primo Pd che «non ci sta». Il secondo Pd è quello che Renzi ha riunito alla Leopolda per la quinta volta, organizzando la discussione su cento tavoli tematici, raccomandando progetti concreti, spargendo ottimismo e sorrisi e riaffermando la ferma volontà di proseguire sulla strada delle mille riforme o cambiamenti promessi. «Qui parla l’Italia che crea lavoro». Col sottinteso che chi non è qui, e sta per esempio a Roma, fa parte dell’Italia che non crea lavoro.
• Per parlare di due Pd bisognerebbe però che alla manifestazione di Roma, indetta contro il Jobs Act e le politiche del governo, fosse presente anche qualche esponente del Pd.
Ce n’erano molti: Fassina, Civati, Damiano, Cofferati, D’Attorre, Epifani, Rosy Bindi, Cuperlo, eccetera. C’era persino qualche bandiera del Pd. In realtà, in tante dichiarazioni, i democratici presenti a Roma hanno precisato di non voler abbattere il governo, ma di voler modificare le sue politiche, «non ce l’abbiamo con Renzi» eccetera. Distinguo complicati e che non so quanto risultino comprensibili ai cittadini. Il discorso della Camusso, con indosso la maglietta bianca «Io sono Marta» (Marta era la precaria evocata da Renzi in un celebre video-intervento), va qualificato come attacco frontale. Ha dichiarato d’esser pronta allo sciopero generale per fermare il Jobs Act, «non difendiamo chi le tutele le ha già, ma chiediamo che le tutele esistenti siano estese a tutti», «qui non ci sono camicie bianche, qui ci sono i colori del lavoro», «Renzi ha usato toni non rispettosi per questa piazza», «A chi è ossessionato dal numero 80 rispondiamo che noi siamo ossessionati dalle percentuali di disoccupazione», «i bonus non bastano, bisogna colpire evasione e corruzione, tassare la ricchezza, non limitarsi a contrattare con la Ue lo 0,3», «Nessuno in buona fede può dire che licenziando si crea occupazione, la funzione di un governo è stare dalla parte del più debole», «Che riforma della giustizia si sta preparando che non sanziona il falso in bilancio?». In piazza c’erano anche i licenziati dell’Opera di Roma, che hanno intonato il "Nessun dorma" della Turandot
. La stessa Camusso ha cantato una versione modificata della sigla di "Ufo Robot": «Mangia libri di cibernetica, insalate di natematica, e al governo se ne sta. Ma chi è? Ma chi è? Super-Matteo».
• Intanto a Firenze...
Intanto a Firenze certe ragazze si facevano fotografare con un’altra maglietta bianca, «Gufi? No, grazie». Renzi ha deciso di parlare oggi, ieri doveva restare dietro le quinte. Invece si è fatto vedere sul palco a presentare i vari coordinatori dei cento tavoli tematici, «ci servono linee concrete e puntuali di richieste che il governo possa portare avanti. Spero che usciate dalla riunione con una mezza paginetta di proposte concrete» (a quelli che discutono di made in Italy), «sulla spending review serve confronto serio su quello che abbiamo già iniziato a fare» (al tavolo relativo). Il premier-segretario-conduttore ha dato la parola ai coordinatori dei vari tavoli, ha fatto parlare 15 persone «che hanno creato posti di lavoro». Parecchi i vip presenti: Fabio Volo, Faustro Brizzi, Pif, Oscar Farinetti, il finanziere Davide Serra. La Bindi in tv ha definito la manifestazione di Firenze «imbarazzante».
• Ha qualche ragione?
Mah. L’invito a Renzi è di tener conto della piazza. Renzi ha risposto, indirettamente, di rispettare i manifestanti, ma che la piazza non lo fermerà. Di là c’è il milione di militanti, di qua il 40,8% confermato anche dagli ultimi sondaggi.
• Come se ne esce?
Non si può dimenticare in che modo si è arrivati a questo punto. Bersani non ha vinto le elezioni e non è riuscito a fare un governo. Messo in discussione, è stato defenestrato dalla stessa base del Pd che per la segreteria gli ha preferito il giovane Matteo Renzi. L’organo dirigente del partito, cioè la Direzione, di sicuro insufflato da Renzi, stabilì poi a maggioranza schiacciante che Letta dovesse essere sostituito dal nuovo segretario. Renzi ha oggi buon gioco nel dire ai democratici di piazza San Giovanni che lui sta seduto dove sta seduto perché così ha voluto il loro partito. Il 40,8% delle elezioni europee ha poi reso la sua posizione impossibile da rovesciare. Camusso e gli altri si sono svegliati tardi.
• E tutti quelli che hanno cambiato cavallo e sono saltati sul carro del vincitore?
Imbarazzante, è vero. Ne ha fatto l’elenco "L’Espresso" e Travaglio lo ha ripreso da par suo nell’editoriale di ieri («Cazzari di terra, di mare e dell’aria! Ascoltate»). Matteo Orfini, Andrea Orlando, Dario Franceschini, Federica Mogherini, Pina Picierno, Alessandra Moretti, Piero Fassino, eccetera. Tutti accorsi in aiuto del vincitore. Così è la vita, purtroppo.