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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

L’intervista del 1934 di Indro Montanelli a Federico García Lorca e l’incontro del 1951 in un saggio di Gabriele Morelli. «La prima ed unica volta che vidi Federico García Lorca, un anno e mezzo avanti che morisse, lo trovai intento a dipingere. Il pastello era, col pianoforte, la sua passione; e qualcuno oggi dice che egli aveva un senso del colore da paragonarsi a quello di Matisse»


A differenza di Giovanni Papini, che simulò un incontro con García Lorca in cui avrebbe discusso di tauromachia, Indro Montanelli conobbe e visitò Federico nella primavera del 1934, nella sua casa di Madrid, attratto dalla leggenda del poeta gitano. Il colloquio non piacque al giornalista che decise di non pubblicare la conversazione. Solo a distanza di anni, in occasione di una intervista fatta a Dalí, uscita sul Nuovo Corriere della Sera (3 agosto 1951), il futuro fondatore e direttore del Giornale ricorda e descrive l’incontro, anche perché il poeta gli aveva mostrato alcuni disegni del pittore catalano e al contempo aveva evocato un terribile episodio vissuto con l’amico.
Ecco come Montanelli ricorda il suo incontro con García Lorca: «La prima ed unica volta che vidi Federico García Lorca, un anno e mezzo avanti che morisse, lo trovai intento a dipingere. Il pastello era, col pianoforte, la sua passione; e qualcuno oggi dice che egli aveva un senso del colore da paragonarsi a quello di Matisse». Montanelli era venuto per incontrare il poeta, non il pittore. Nel corso della conversazione, si fa il nome di Salvador Dalí. «Allora García, - scrive Indro - sino a quel momento distratto e un poco, forse, annoiato dalla mia presenza, si animò d’improvviso; e, aperto un cassetto, ne trasse, per mostrameli, i disegni che il suo meraviglioso amico, come lui lo chiamava, gli aveva mandato da Cadaqués. Erano dei Dalí surrealisti avanti lettera: rocce con volti umani, molli mostri marini, spugne calcinate a spasso su grucce lungo la spiaggia... e mi raccontò questo strano aneddoto di lui».
Segue l’episodio: «Una notte si erano trovati, Federico e Salvador, in un villaggio di Estremadura. Non essendo riusciti ad addormentarsi, per causa delle cimici che infestavano il loro giaciglio, si erano alzati per veder sorgere l’alba su quel severo paesaggio, ancora avvolto nella bruma... Proprio allora, in quella solennità di luce e di sfondo, irruppe un montone, fuggito da una “tanca” lì presso. Si disponeva a brucare i rari fili d’erba che venavano esilmente di verde quella petraia, quando fra le rovine sbucarono una mezza dozzina di maiali neri che con furia selvaggia si avventarono su di esso e in un battibaleno lo divorano. A quello spettacolo, Salvador, impassibile, si mise a ridere come un ragazzo. Poi, cavato di tasca un album, si diede a ritrarvi con la matita la scena, imprestando al montone sbranato e agonizzante il volto del notaio Dalí, suo padre».
E ora ascoltiamo il commento entusiastico di Salvador di fronte all’attonito Indro: «Ah, fu bellissimo! E avrei pagato non so cosa per essere in quel momento uno di quei porci neri». Eccitato e allo stesso tempo compiaciuto dal ricordo di quello spettacolo cruento, il pittore aggiunge che un giorno nel giardino della sua casa di Figueres gli era caduto sulla mano un pipistrello moribondo: di colpo gli staccò con un morso la testa e se la mangiò. Montanelli esprime scetticismo e ironia di fronte alla stravaganza di Dalí.
Per quanto concerne l’episodio dei maiali, esistono altre due versioni divergenti trasmesse nelle sue memorie da Pablo Neruda, che tuttavia non contemplano la presenza di Dalí. Calza invece perfettamente l’aneddoto, raccontato da Lorca a Montanelli, che vede Salvador disegnare la scena sostituendo il montone agonizzante con il volto del padre. È noto infatti il difficile rapporto avuto da Salvador con il notaio Dalí Cursi, sfociato nella rottura definitiva, a causa della frase posta sul suo quadro El Sagrado Corazón, che recitava: «Sputo sul ritratto di mia madre».
Un precedente articolo di Montanelli (datato 3 settembre del 1936) pure allude alla visita al poeta e racconta la sua reazione di fronte all’ammirazione che Indro manifestò per la sua poesia gitana: «Forse - scrive - gliela espressi in modo molto malaccorto; ma fatto sia che si oscurò in viso e mi chiese con una venatura di sarcasmo se veramente mi sembrava viva e vera l’Andalusia delle sue Canciones». La confessione conferma che il lontano incontro con Federico fu un colloquio minato ab initio dallo stereotipo del poeta gitano che Indro si portava dietro.
Il ritratto di Lorca lasciatoci da Montanelli risulta assai vicino a quello colto da Ana Dalí, la sorella del pittore, durante i giorni indimenticabili - «las horas doradas» - trascorsi da Federico con Salvador nella baia di Cadaqués. Ana ricorda il suo viso scuro e massiccio, pronto ad illuminarsi non appena egli sedeva al pianoforte e cantava e recitava poesia, quando cioè entrava in sintonia con il suo elemento naturale che era l’arte e la creazione. Anche Montanelli non manca di descrivere il suo «sguardo luminoso, la risata da bambino, e la sua voce», che gli ricorda la musica del Cante jondo.
Chiudiamo con questa immagine radiosa di Federico; non passerà molto tempo, meno di due anni, e il poeta sarà barbaramente ucciso a Víznar, vicino Granada.