Libero, 24 ottobre 2014
Gli ottant’anni di Nero Wolfe, il detective di Stout che indaga tra buona cucina e orchidee. Tutte le celebrazioni e i convegni in giro per il mondo
Ho sognato Nero Wolfe. Il Wolfe di Tino Buazzelli, naturalmente. L’unico. Avanzava al suo solito modo, ovvero, dopo essersi sradicato dalla poltrona, in direzione sala da pranzo, dove probabilmente qualcosa stava raggiungendo l’acme. Poi, visto che la sala in questione era affollata, il piccolo trotto si trasformava in passo marziale.
No, non mostrava i suoi ottant’anni - sebbene tanti ne siano trascorsi da quando, nel 1934, lo statunitense Rex Stout lo consegnò al mito con il primo romanzo, Fer-de-Lance (dopo ne scrisse ancora 33, più 39 brevi, tra gli anni Trenta e Settanta, quasi tutti ambientati a New York City, al ritmo di circa uno l’anno, insidiando la felice bulimia letteraria di Simenon. In effetti sarebbe nato il 17 aprile del 1893, in Montenegro. Ma la coerenza temporale non è un obbligo per i miti letterari). Il passo era restato quello dell’uomo grasso, pigro, egoista, che però si porta con non-chalance il suo settimo di tonnellata di massa corporea, 150 kg, con la testa così grossa che l’atto di sollevarla dà l’impressione di una fatica non indifferente: il resto della sua persona è così enorme che qualunque testa, che non fosse la sua, scomparirebbe letteralmente su quel corpo...
Raggiunta la postazione, Wolfe volgeva lo sguardo verso Archie Goodwin (ovviamente Paolo Ferrari) e si compiaceva delle prelibatezze preparate da Fritz Brenner, il fido cuoco svizzero (Pupo De Luca, certo). Quindi, quasi distrattamente, dava uno sguardo al menu e dispensava un sorrisetto ironico. Ed è stato allora che mi sono svegliato, e la mia mente è corsa subito all’invito di questa sera, alla Cucina dei Frigoriferi Milanesi, alle ore 19.30, quando gli editori Neri Pozza e Beat celebreranno l’ottantesimo compleanno del mio detective preferito, appunto con un pranzo che un brutto vezzo contemporaneo non esita ormai a definire «evento». Nella fattispecie, addirittura, evento culturale e gastronomico. Ma l’unico vero evento è lui, rappresentazione plastica della «ben rotonda verità» parmenidea.
Lui, Nero Wolfe, il wasp newyorkese (white anglo-saxon protestant), lo snob dell’élite americana, la cui vita è scandita da appuntamenti precisi e irrinunciabili. Dalle 9 alle 11 e dalle 16 alle 18 si coltivano le orchidee. Nell’intervallo e dopo, si mangia. E quando si mangia non si parla di lavoro o di affari, perché il cibo e sacro e la cucina - altro che matematica! - è la vera scienza esatta. Lui, Nero Wolfe nemico del pauperismo cattolico, amante del denaro, che però si guadagna con la sua prodigiosa intelligenza e gli serve solo per coltivare quei sacrosanti vizi che costituiscono il sale della vita e senza i quali non ci distingueremmo troppo da un carciofo. Il Nostro sorriderebbe di certo compiaciuto nel vedersi dedicato un pranzo (no che non lo chiamo cena, neanche sotto tortura…) ispirato dai suoi piatti preferiti. Anche se «cucina calibro noir» sembrerebbe più adatto ad Archie Goodwin, il solo che, in quella casa newyorkese di arenaria browstone, rosso-bruna, al n. 918 della 35° strada, abbia una certa dimestichezza con l’artiglieria.
Poi ho capito il perché nel sogno c’era quel ghigno beffardo: il diavolo di un refuso ha messo la coda nel menù che intende celebrare proprio il maniaco dei particolari, il detentore indiscusso dello spirito di osservazione assoluto. Un nobilissimo brasato di porcello, ovvero una carne cotta lentamente, con vino, spezie e salsa di pomodoro, intrappolandone tutti gli umori, si è infatti trasformato in «Porcello basato al vino rosso speziato con purea di sedano rapa e patate», che sembra quasi una mancanza di rispetto... Ma Wolfe cogli anni si è dewolfizzato, assimilando tracce di tolleranza. Così, dopo tre generosi boccali di birra, le sue rughe frontali si sono un po’ spianate ed è tornato imperturbabile.
Inoltre, le Edizioni Beat se l’è fatta subito perdonare due volte: prima, regalando una copia di Fer-de-Lance a tutti gli ospiti della Cucina dei FrigoriferiMmilanesi (in via Piranesi 10, la serata costa 37 euro, ma la cultura paga); dopo, dando alle stampe Palla avvelenata (pp. 188, euro 9, traduzione di Ida Omboni), uno fra i migliori di Rex Stout. Qui il grosso detective si comporta come sempre: capita per caso sullo scenario del delitto e, mentre rifiuta di occuparsene, già con intelligenza analitica e deduttiva macina ragionamenti che porteranno alla soluzione. Già, Wolfe fa sempre le stesse cose. Ma nessuno al mondo le fa bene come lui...