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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

Il Canada si risveglia dopo l’attentato e scopre di aver perso la sua innocenza. Centinaia di sospetti, 80 persone sulla no-fly list nel Paese che dall’800 non aveva omicidi politici

«Adesso dobbiamo andare avanti senza paura, ma è inutile girarci intorno: con l’attentato di ieri questo Paese ha perso la sua innocenza». Mattinata limpida e freddo pungente sulla spianata davanti al National War Memorial transennato e ancora circondato dai poliziotti. Jim Munson, senatore del partito liberale, si ferma un attimo a parlare mentre tenta di farsi largo in una selva di telecamere. Barricato ieri in un’aula del Parlamento durante la caccia all’attentatore, Michael Zehaf-Bibeau, torna ora sul luogo dell’attentato per onorare Nathan Cirillo, il militare italo-canadese ucciso. «Abbiamo osservato per anni con distacco le immagini dei palazzi di Washington e di Westminster, a Londra, blindati. Eravamo convinti di godere di una specie di immunità. L’era delle illusioni è finita: dobbiamo affrontare una realtà assai più dura».
Il giorno dopo l’attacco al Parlamento, il Canada è ancora sotto choc. La conferma che l’assalto è stato condotto da un «lupo solitario», non da un commando militare come si era temuto all’inizio, è una magra consolazione: due attentati mortali in 48 ore pesano come un macigno su un Paese nel quale l’ultimo omicidio politico risale al regno della Regina Vittoria, nell’Ottocento.
Capitale aperta, tollerante, rilassata, quasi una «città delle bambole» inventata a tavolino proprio dalla grande regina britannica (si dice che Queen Victoria abbia deciso la fondazione di Ottawa piantando uno spillo a caso sulla mappa), la metropoli amministrativa di questa nazione sterminata ha registrato appena quattro omicidi l’anno scorso.
Quanto al Parlamento, nel quale l’attentatore è entrato con grande facilità, senza incontrare ostacoli, l’ultimo allarme rosso risale al 2009, quando un gruppo di ambientalisti salì sul tetto per protestare contro lo sfruttamento delle sabbie bituminose dell’Alberta.
Non è solo il senatore Munson a parlare di perdita dell’innocenza: un’espressione che ritrovi anche nei servizi televisivi e sui giornali. «Ma quale fine dell’innocenza — si ribella lo scrittore Andrew Cohen —. «Speriamo piuttosto che sia la fine dell’era dell’ignoranza e del compiacimento di una città sonnolenta. La capitale di un Paese a lungo soprannominato il “regno pacifico”, che improvvisamente si sveglia e scopre di essere precipitato nel Ventunesimo secolo».
In effetti regno dei balocchi e bombardamento dell’Isis in Iraq sono due cose difficili da mettere insieme. È quello che cerca di far capire al suo popolo il primo ministro Stephen Harper in un discorso davanti al Parlamento pieno di orgoglio, di determinazione («non ci faremo intimidire: gli attacchi ai nostri uomini e alle nostre istituzioni sono attacchi alla nostra civiltà, ai valori di libertà e democrazia della nostra gente»), ma anche di rimpianto: «Prendiamo atto che non siamo più immuni da attacchi che fin qui ci sembravano realtà lontane».
Insieme alle tante angosce, il day after si porta dietro due problemi giganteschi: come difendersi da nuovi attacchi, vista l’estrema difficoltà di individuare i potenziali terroristi e anche l’impossibilità di tenere sotto contro 24 ore su 24 i soggetti pericolosi già identificati: alcune centinaia, 80 dei quali sono finiti nella no-fly list, con conseguente ritiro del passaporto. Un grosso problema anche per gli Usa che hanno strutture di intelligence ben più agguerrite di quelle canadesi, ma non hanno la possibilità materiale di marcare stretto, oltre ai circa 800 jihadisti della no-fly list, tutti i soggetti considerati genericamente sospetti che sono ormai decine di migliaia.
L’altro problema è come preservare l’armonia sociale in un Paese dalla struttura fortemente multietnica con un milione di musulmani che ora rischiano di essere messi sotto accusa. Il capo della polizia ha subito scritto all’Imam Sikander Hashmi promettendo di difendere la sua comunità da ogni manifestazione di intolleranza, ma chiede la collaborazione della comunità islamica contro il terrorismo. Intervistato dal Corriere , Hashmi promette: «Abbiamo sempre vissuto in pace, questi pazzi vanno fermati: coopereremo. Ma, realisticamente, non potremo risolvere noi il problema dell’Isis quando nemmeno lo Stato riesce a tenere sotto controllo i fiancheggiatori che ha individuato».