la Repubblica, 24 ottobre 2014
Al Tesoro c’è il problema del supermanager che pianifica la manovra economica che ora vuole dimettersi. Si chiama Roberto Codogno, Padoan lo prega di restare. Dubbi non solo sulle coperture ma anche sulle stime del Pil
Le dimissioni sono state presentate a più riprese negli ultimi giorni, e a più riprese sono state respinte. Roberto Codogno, veneto di 55 anni, un master di Finanza alla Syracuse University di New York, un passato in Bank of America a Londra, il presente al ministero del Tesoro, non vorrebbe più restare dov’è.
Dal 2006 è dirigente generale di via XX Settembre, capo dell’analisi e della programmazione economia e finanziaria. In sostanza, Codogno è l’uomo che personalmente cura tutti i documenti con i quali il governo pianifica la Legge di stabilità, l’andamento dell’economia, quello del deficit e del debito pubblico. Ma proprio in questi giorni, mentre fra Roma e Bruxelles si apre il confronto più delicato sulla finanza pubblica italiana, l’autore materiale dei piani del governo ha deciso che non ci sta più. A più riprese Pier Carlo Padoan gli avrebbe chiesto di ritirare le dimissioni e per ora il ministro dell’Economia sarebbe riuscito a far tornare sui suoi passi questo che da anni è uno dei personaggi chiave del Tesoro. Ieri sera, un portavoce del ministero dell’Economia ha comunque smentito che Codogno abbia mai chiesto di andarsene.
Il suo è un ruolo chiave: è Codogno che, insieme alla dirigente generale Maria Cannata, parla agli investitori internazionali per convincerli a comprare i titoli del debito pubblico italiano. Codogno si reca spesso a incontri con loro a Londra, dove vive nei fine settimana, e anche più spesso riceve i gestori dei più grandi fondi d’investimento al mondo a Roma, in via XX Settembre. Ma fra i motivi che avrebbe addotto per la sua voglia di andarsene c’è proprio questo: non crede più alla versione dei fatti sull’Italia che, istituzionalmente, è tenuto a fornire a manager dietro i quali si trovano migliaia di miliardi di fondi internazionali in cerca di investimenti.
Anche nella Ragioneria generale dello Stato, sempre in via XX Settembre, i giorni del varo della Legge di stabilità sono stati complessi. Una versione rivista e rafforzata del bonus-bebé, il sussidio per i nuovi nati promesso da Matteo Renzi, avrebbe portato il ragioniere generale dello Stato Daniele Franco. Franco, ex capo dell’ufficio studi della Banca d’Italia, a chiedere nuove coperture. Quei 500 milioni di euro di spesa in più per i bonus-bebé a un certo punto sembravano finanziati in misura adeguata per il primo anno di applicazione, non però nei successivi. Di qui l’esitazione del ragioniere nel «bollinare» la Legge di stabilità, cioè nel dare il suo indispensabile visto al varo del bilancio, prima di un ritocco. Alla fine si è trovato un compromesso con il tetto fissando a un reddito familiare di 90 mila euro il tetto per accedere all’assegno. Resta il problema del profondo malumore nel cuore del ministero del Tesoro. Lì dentro, alcune delle figure di punta si considerano per la prima volta emarginate da Palazzo Chigi dall’elaborazione della manovra di bilancio. E sollevano quelli che considerano problemi di merito, non solo sulle coperture finanziarie tramite i tagli annunciati o la lotta all’evasione. A far dubitare alcuni, c’è anche il fatto che la stima di decrescita del Pil nel 2014 sarebbe troppo ottimistica, perché non tiene conto del fatto che la recessione sta continuando anche in autunno (come notato ieri dalla Banca d’Italia). Con un’economia più piccola, salterebbero a catena anche le metriche di contenimento del deficit e del debito in chiusura d’anno e nel 2015. I prossimi mesi diranno chi ha ragione. Certo le dimissioni di una figura ben nota in Europa e nella City come Codogno, se davvero questi tornasse a insistere con Padoan, non farebbero nulla per aiutare la posizione dell’Italia in vista dell’esame del bilancio alla Commissione europea.
L’articolo del Patto di stabilità richiamato nella lettera da Bruxelles, fa riferimento ai «casi eccezionali» e «particolarmente gravi di mancato rispetto degli obblighi di politica di bilancio ». È la norma giuridica che si usa quando la Commissione si prepara a respingere la Legge di stabilità di un governo, per chiedere di riscriverla: Parigi ha ricevuto dalla Commissione esattamente lo stesso segnale. Ora però per l’Italia conterà anche la posizione favorevole all’impianto della manovra delle altre istituzioni, a partire dal Quirinale. Il capo dello Stato è il garante del rispetto degli accordi internazionali dell’Italia, incluso il Patto di stabilità europeo. E la firma di Giorgio Napolitano sulla Legge di stabilità è un messaggio anche per Bruxelles.